«LA SPIRITUALITÀ DEL CORPO» Secondo i Maya…

 

Dall’8 ottobre al 5 marzo il Palazzo della Gran Guardia di Verona ospita la mostra Maya. Il linguaggio della bellezza, a cura di Karina Romero Blanco. Promossa dal Comune di Verona e da Arena Museo Opera (AMO), prodotta e organizzata dall’INAH (Instituto Nacional de Antropología e Historia di Città del Messico), in collaborazione con Arthemisia Group e Kornice, la rassegna comprende oltre 250 reperti provenienti dai principali musei messicani, per raccontare la storia e la ricca cultura di una delle più importanti civiltà precolombiane.

A distanza di 18 anni dall’ultima esposizione veneziana, i Maya tornano in Italia per farsi conoscere in un modo nuovo, non più esclusivamente archeologico, ma anche e soprattutto estetico, chiedendo per la prima volta di essere letti o, meglio, decifrati. È infatti dal confronto con i loro testi antichi che parte questo viaggio alla scoperta di un ideale di bellezza e di sacralità che, fondato sulla terrena e sensuale dimensione del corpo, molto ha da dire ancora oggi alla distante Europa, che pure decretò la fine della grande civiltà Mesoamericana.

Le molte e diversissime opere in mostra (stele monumentali, elementi architettonici, sculture in pietra e figurine in terracotta, vasi e gioielli, funebri maschere in giada, strumenti musicali, incensieri) sono suddivise in quattro sezioni espositive. La prima, Il corpo come tela, documenta la lontana origine di quella che, nella seconda metà del XX secolo, prenderà il nome di Body Art, ovvero gli interventi di modifica apportati al corpo umano per ragioni estetiche, non meno che sociali e rituali: acconciature, pitture su viso e corpo, cicatrici e tatuaggi, decorazione dei denti, foratura di orecchie, naso e labbra (gli odierni piercing) e persino deformazioni permanenti del cranio e dell’espressione (strabismo). Si passa poi a Il corpo rivestito, la sezione dedicata agli indumenti, altrettanto significativi per la caratterizzazione socio-culturale e psicologica degli individui. Ci si può incantare dinanzi ai semplici abiti del ceto agricolo – le bluse (“huipil”), le gonne e le tuniche delle donne; gli avvitati perizomi e i lunghi mantelli degli uomini –, quanto a quelli più appariscenti e originali della classe nobiliare, ricchi di accessori – cinture, copricapo, collane, ecc. –, intarsiati di pietre preziose e piumaggi. Segue La controparte animale, una sorta di “terra di mezzo” che congiunge l’umano al divino, attraverso le forme simboliche prese in prestito dal regno animale. I Maya credevano, infatti, che ciascun essere vivente possedesse una controparte ultraterrena, per mezzo della quale interagire con il cosmo e ricongiungersi alla sua totalità. Molti animali erano perciò considerati quali incarnazioni di entità superiori, come il cielo stellato (giaguaro), e simboli di virtù, come la capacità di adattamento e trasformazione (serpente e coccodrillo). Alla fine del percorso espositivo si giunge a I corpi delle divinità, dalle sembianze ibride, ambivalenti o contraddittorie. Si manifestano in forme umane, animali e vegetali, quando non del tutto fantastiche, e si fanno espressione di tutte le forze e i misteriosi fenomeni della natura che l’uomo non sempre riesce a comprendere e controllare.

L’evento rappresenta inoltre una buona occasione per toccare da vicino alcuni argomenti intriganti, come le famose profezie relative all’origine (6 settembre del 3114 a.C.) e alla fine (21 dicembre 2012) del mondo.

 

Giada Sbriccolimaya-2

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