Luglio 1989, Jason Everman viene gentilmente allontanato dalla band in cui suona la chitarra perché troppo vicino al genere Metal e poco aderente a quello che il gruppo voleva trasmettere. Così, Jason, finita la registrazione di Bleach, lascia i Nirvana.
Ma decide di riprovarci e così, nel settembre di quello stesso 1989, sostituisce il bassista dei Soungarden. Ma anche questa si rivela una esperienza poco appagante perché entro l’anno successivo la band preferisce fare a meno del suo contributo e della sua “usanza” di distruggere il proprio strumento dopo ogni concerto. Bene così, Jason. A questo punto, il giovane rocker prende una decisione drastica circa la propria vita: lasciare il mondo della musica (e come biasimarlo) per dedicarsi ad altre sfide.
La prima volta che l’hanno riconosciuto è stato a Fort Benning, Georgia,(http://en.wikipedia.org/wiki/Fort_Benning) nel bel mezzo dell’inferno dell’addestramento base dei Rangers. Un giorno un sergente istruttore gli si parò davanti con una rivista che ritraeva in una foto la band primigenia dei Nirvana. Kurt Cobain era morto da poco, e qeul ragazzo con i capelli biondi, lunghi e ricci aveva richiamato l’attenzione dell’istruttore, spingendolo a soddisfare la propria curiosità: “sei tu questo?”, gli chiese.
“Sì sergente istruttore”, fu la risposta che Everman lasciò uscire tutta d’un fiato; di quelle risposte quasi esalate con un sospiro rassegnato.
A 26 anni era già stato due volte Pete Best (per chi non lo conoscesse è lui: http://it.wikipedia.org/wiki/Pete_Best). L’addestramento era già cominciato da quasi un mese, quando il suicidio di Cobain svelò il passato di Jason e le vessazioni non tardarono ad arrivare. Ci volle molta volontà e determinazione per non cedere e arrivare al fondo di un corso abbandonato da quasi la metà delle reclute, ma Everman lo portò a termine. Egli dimostrò una risolutezza rara, e ciò gli permise di diventare un membro delle forze speciali dell’esercito americano.
Operò in territori come l’america latina e l’Iraq, cavalcò con i Pashtun, prese parte ad incursioni notturne in elicottero, passò giorni in basi militari con assolutamente null’altro da fare che osservare il tempo arrugginire i carri armati sovietici (e chi ha mai passato una notte od un giorno di guardia sa quanto l’orologio possa essere crudele in quei momenti), ha avuto modo di sentire il profumo dei campi di papaveri ai margini del Kandahar. Everman dice che il combattimento non è sempre come lo si vede nei film; è lento, deliberato. L’esperienza più simile a ciò che il cinema mostra l’ha avuta in Iraq, quando ha potuto vedere la piena dimostrazione di forza dell’esercito americano, con elicotteri che volteggiavano nel cielo e blindati che esplodevano sotto colpi che provenivano da ogni lato. Jason sembra aver trovato la sua dimensione nella guerra. Nella sua baita è possibile vedere una medaglia dopo l’altra, compreso l’ambito “Combat Infantryman Badge”. “Suona un po’ come lo scoutismo” dice “ma è davero qualcosa di fico”. Ci sono foto di Everman in uniforme, una con Donald Rumsfeld ed un’altra con il Generale McChrystal.
E questo è ciò che colpisce, che a modo suo, Jason Everman, è finalmente diventato una star.
Giampaolo Giudice