La riscoperta di Dada e Surrealismo: mostra-capolavoro al Vittoriano

Fino al 7 febbraio 2010 presso il complesso del Vittoriano di Roma si tiene la mostra Dada e Surrealismo riscoperti, a curarla è Arturo Schwarz, storico dell’arte, saggista, poeta e filosofo.

Si tratta di una mostra molto importante, una delle più imponenti mai realizzate su Dada e Surrealismo. Tra olii, sculture, readymade, assemblaggi, collage, disegni automatici, in mostra sono oltre 500 opere che ricostruiscono il percorso dalla nascita allo sviluppo, il susseguirsi di Manifesti, le principali mostre, il potere eversivo che questi due movimenti rivoluzionari hanno avuto tra le avanguardie artistiche del Novecento e la tanta influenza esercitata sull’arte successiva alla prima metà del secolo scorso.

Non sono due movimenti che si limitarono ad essere una mera corrente artistica, proposero una vera e propria filosofia della vita. Dada fu una rivolta per la rivolta, senza  alcuna ambizione di carattere etico o estetico. I dadaisti, Nichilisti convinti,  partivano dalla tabula rasa per negare in modo radicale tutti i valori. Il Surrealismo, invece, nacque e si sviluppò sotto il segno dell’impegno, altrettanto radicale, e a tutti i livelli. Anzitutto a quello etico e politico nel senso più esteso del termine, implicando quindi una volontà di rinnovamento che non conoscesse mezze misure.

Dada e il Surrealismo sono stati gli unici due movimenti dell’avanguardia storica a non limitarsi a una rivoluzione visiva, ma a propugnare invece una rivoluzione culturale. Mentre gli altri movimenti di quegli anni si limitavano alla ricerca di una nuova tavolozza pittorica o di un’inedita strutturazione dei volumi – Dada e il Surrealismo suggerivano una nuova filosofia della vita che contestava, tra l’altro, anche il senso della sperimentazione puramente formale dell’artista, ingabbiato in un ruolo elitario dalla sua specializzazione e vittima consenziente della divisione del lavoro.

Nell’arte dei surrealisti predomina l’esigenza della fedeltà al “modello interiore”, non vi è posto per una ricetta estetica o un cliché figurativo: niente accomuna la pittura di Max Ernst, André Masson, Man Ray, Joan Miró o Yves Tanguy (per citare solo alcuni dei partecipanti alla prima collettiva surrealista del 1925); Dada non fu mai una scuola, ma uno “stato d’animo”, un incontro tra giovani arrabbiati accomunati dallo stesso spirito libertario. Oggi assistiamo a una vera e propria rinascita di questo spirito perché le condizioni sociali e filosofiche dell’ultimo ventennio sono molto simili a quelle che avevano favorito lo sviluppo di Dada negli anni 1916-1923. È chiaro però che la rivolta, appunto perché tale, non può ripetere i gesti precedenti. Ricadrebbe in un nuovo conformismo, condannerebbe i suoi protagonisti al ruolo d’epigoni.

E’ in mostra un’esposizione fittissima, volutamente un po’ caotica, punta a ricostruire le diverse celeberrime mostre che fecero la storia di questi movimenti. Il percorso  si apre con un doveroso omaggio ai precursori tra i quali Chagall, De Chirico, Duchamp, Kandinskij, Klee, Klinger, Gustave Moreau e Munch. Nelle prime sale sono poi presentate le opere dei protagonisti del movimento Dada. Tra i dadaisti si sono voluti prediligere quelli che hanno partecipato alla prima collettiva dadaista Erste Internationale Dada-Messe (Prima fiera internazionale Dada) che si inauguro’ il 5 giugno 1920 (per chiudersi il 25 agosto) alla Galleria Otto Burchard di Berlino. Gli espositori, con poche eccezioni, erano prevalentemente tedeschi, con folte rappresentanze dei gruppi di Berlino e di Colonia. Il percorso espositivo testimonia poi l’attività degli artisti che parteciparono ad almeno una delle sei principali mostre collettive surrealiste dirette dal fondatore del movimento Andre’ Breton o con la sua partecipazione. Dalla prima alla Galerie Pierre di Parigi il 14 novembre 1925 fino all’ultima collettiva surrealista, L’Écart absolu, presso la Galerie L’Oil di Parigi nel dicembre 1965, che precedette di 9 mesi la morte di Breton.  Le opere più famose e più popolari ci sono tutte: dalla Gioconda con i baffi e l’orinatoio trasformato in fontana di Marcel Duchamp, al metronomo con l’occhio (in realtà si intitola Objet indestructible) di Man Ray, il castello sospeso (Le Chateau des Pyrenees) di Magritte.

La mostra è un’occasione per conoscere dal vivo pezzi resi universali dalla loro fortuna iconografica, quindi, come la Ruota di bicicletta di Duchamp, primo ‘Readymade’ della storia (siamo nel 1913), o ancora la bocca di Man Ray. Ma anche per riscoprire i due movimenti curiosando tra i lavori e le sperimentazioni dei tanti, meno conosciuti o storicamente meno importanti che comunque vi militarono contribuendo decisamente a precisarne l’etica e l’estetica.

Mauro Meleddu

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