Una spugna malata e un pino morto: queste le condanne che Gioele, protagonista del romanzo A testa in giù, avverte su di sé, nella pratica della doccia alla quale è costretto ogni giorno presso un istituto di cura di disturbi mentali. Elena Mearini racconta il tempo che vi trascorre da ricoverato, o meglio, da picchiato in testa, come usa definirsi lui stesso. Gioele non accetta di stare in silenzio. Vuole, piuttosto, rompere le scatole al silenzio, generando suoni con le dita o vari oggetti, pur di non dimenticarsi di essere al mondo. L’onda sonora è come un angelo di salvezza, perché lo proietta con la mente ai ricordi del proprio vissuto famigliare ed affettivo. Gioele non si esprime a voce, ma solo a rumori, immerso nel suo senso di solitudine. Resta l’occhio del Van Gogh appeso alla parete della sua stanza a guardarlo. Nel tentativo di parlargli e di riportarlo in vita con il proprio respiro, Gioele scorge nel pittore l’aquilone con cui spiccare il volo e lanciarsi verso il maggiolone giallo, Domingo, parcheggiato fuori l’istituto. In questa sua fuga, finisce per investire una signora in bicicletta, Maria, e il loro cammino verso l’ospedale si trasforma in un viaggio intriso dei ricordi della donna. Insieme, ripercorrono i luoghi dell’infanzia e della giovinezza di Maria, le svolte che hanno segnato la sua età adulta, lontano dal mondo contadino dov’è nata e cresciuta, tra gli stenti della guerra. Maria dà voce alla propria vita passata, e Gioele ama nutrirsi del giallo delle sue parole. Diventa capace di comunicare e di farsi sentire con i propri pensieri e desideri, scappando dagli occhi altrui, e trovandosi ad essere, grazie a Maria, uno ma due, soli per finta. Ascoltando la storia della donna, Gioele ricompone i pezzi della propria, fino ad afferrare la verità che lo lega a lei.
Nel turbinio di emozioni dei protagonisti, l’autrice trasmette la forza della comprensione e dell’accoglienza verso l’altro, a fronte di quell’ottica della diversità che contrasta con il bisogno di essere amati insito in ciascuno di noi.
Clara Agostini