La democrazia Corinthiana. Quando una lezione attraversa i secoli

La parola democrazia, tutti lo sanno, viene dal greco ed è composta dai termini demos (popolo) e kratia (potere) e indica il tentativo di governare dividendo la responsabilità tra tutti i membri di una comunità, dando a ciascuno lo stesso potere decisionale. Solitamente questo “esperimento” non è molto durevole ma ogni volta rappresenta una particolare lezione per il genere umano. I primi a realizzare una democrazia perfettamente compiuta furono gli Ateniesi nel V-IV secolo a.C., la grande epoca di Pericle e Temistocle, Tucidide e Aristofane, Platone e Socrate. Nella società ateniese, ogni cittadino aveva diritto a prendere parte alle decisioni che riguardavano la città, in ossequio all’idea che ciascun individuo fosse una cellula importantissima dell’organismo costituito dalla polis e come tale aveva il dovere di partecipare alla vita di quell’organismo. Pertanto tutti gli Ateniesi, che avevano la cittadinanza, potevano partecipare alla bulé, l’assemblea che si riuniva per prendere le decisioni importanti. Non solo, ma lo Stato provvedeva a pagare la giornata ad ogni persona che partecipava al consiglio, per risarcirlo del mancato guadagno causato dalla partecipazione. La meravigliosa “macchina” democratica ateniese viene raccontata alla perfezione nel sublime discorso pronunciato da Pericle, contenuto nella Guerra del Peloponneso di Tucidide. L’utopia ateniese durò molto più a lungo degli altri modelli democratici e tramontò del tutto di fronte al sole nascente di un nuovo impero, rappresentato da Alessandro Magno. Nei secoli successivi non ci furono altri esempi democratici, tali da essere paragonati a quello ateniese. Ma forse, c’è stata un’altra forma di democrazia perfetta, che durò solo un paio d’anni e, sorprendentemente, riguarda una squadra di calcio. È passata alla storia come la democrazia Corinthiana e, come suggerisce il nome, il termine si riferisce alla squadra del Corinthians. In Brasile, nel 1964 era stata instaurata la dittatura del maresciallo Castelo Branco, che nei primi anni Ottanta stava vacillando, non tanto a livello nazionale (le prime elezioni libere si ebbero solo nel 1985) ma, a livello locale, il dissenso cominciava a serpeggiare e, soprattutto, a comparire sulle maglie bianconere della squadra popolare di San Paolo, il Corinthians, che in occasione delle elezioni municipali e statali del 1982 fece scrivere sulle casacche “il 15 andate a votare” dando così voce al lavoro politico che iniziava nello spogliatoio, si consolidava in allenamento e si esprimeva nelle partite ufficiali. Di solito, il dazebao, la maglia, riportava la parola “democrazia” scritta la rovescio per protestare contro la dittatura del generale Figuiredo. Così il club, fondato nel 1910 per contrastare il potere del calcio d’elite paulista, che negli anni Settanta versava in uno stato di totale abbandono e degrado, per un fortunato caso si risollevò grazie all’incontro tra una dirigenza nuova e calciatori dall’enorme classe, capaci di pensare e di metdemocracia-corinthianatersi in discussione, stimolati e incoraggiati da un direttore tecnico che di calcio non sapeva molto, perché era un sociologo, tale Adílson Monteiro Alves. Ne venne fuori il più riuscito esperimento socio-calcistico della storia, ridefinendo i rapporti all’interno dello spogliatoio, in cui le decisioni venivano sempre prese collettivamente. Vincere o perdere non era importante e un giorno i calciatori portarono addirittura uno striscione in campo con il quale spingevano i tifosi a comprendere che quello era solo uno sport, giocato da uomini in carne e ossa, non da dei o idoli, esattamente come quelli che fanno la storia. Casagrande, Wladimir, Zenon, Biro-Biro erano gli eroi di quella squadra, guidata dal magrao o, come altri lo chiamavano il Dottore o il Filosofo, perché suo padre era un estimatore della cultura classica e aveva messo come nomi, a lui e ai suoi fratelli, quelli dei grandi filosofi e pensatori greci. E allora, esattamente come 23 secoli prima, a guidare la democrazia del calcio fu Socrates, calciatore laureto in medicina, non un’atleta in senso stretto, ma un grande artista del pallone e un meraviglioso sociologo e capo. Le regole della squadra vennero rivoluzionate: venne abolito il ritiro, perché non era dignitoso costringere un uomo a fare qualcosa come fosse in prigione, i calciatori parlavano direttamente alla gente per spiegare quanto fosse importante il cambiamento, tanto nel calcio, quanto nella società e quale importanza enorme avrebbe avuto l’elezione di un Presidente della Repubblica, che cominciava ad essere invocato a gran voce dalla popolazione. Nonostante la libertà sfrenata vinsero due volte il campionato paulista nel 1982 e nel 1983 e persero l’anno dopo in finale con il Santos. Il rapporto con la tifoseria non era sempre semplice, perché Socrates e compagni desideravano educare i propri supporters come quando, dopo una sconfitta, i giocatori vennero aggrediti e, nella partita successiva, il Dottore segnò una tripletta senza mai esultare. Il capo della rivoluzione democratica se ne è andato nel 2011, l’anno in cui il Corinthians ha vinto il suo primo titolo nazionale, proprio come aveva profetizzato Socrates, che ammise di voler morire nel giorno in cui la sua amata squadra avrebbe vinto il torneo. La sua eredità resta: ognuno è uguale e il suo voto conta come quello degli altri, un perfetto equilibrio tra la perfezione e il caos, quello che il Filosofo amava più di ogni altra cosa. E ancora oggi per i tifosi del Corinthians vincere o perdere non conta molto e sempre riecheggerà, sulle tribune della Arena Corinthians, la lezione di Pericle e degli Ateniesi.

 

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares