E’ morto a 67 anni Luca De Filippo, attore e regista teatrale, figlio del grande Eduardo. Luca era nato a Roma nel 1948 dalla relazione tra il grande maestro del teatro napoletano e la soubrette Thea Prandi. Come tutti i figli di personaggi famosi che come loro intraprendono la carriera artistica (del padre o della madre), Luca era consapevole e fiero di essere l’erede di una famiglia che ha fatto la storia del teatro italiano. Questa inattesa scomparsa causata da un male incurabile, getta e soprattutto priva il teatro italiano di uno tra i suoi più sensibili interpreti e custode appassionato e creativo di quella tradizione drammaturgica e attoriale che a partire da Napoli ha saputo conquistare il successo in Italia e nel mondo. Convinto e accanito sostenitore del valore sociale del teatro, uomo generoso, Luca è stato sempre e piuttosto attento agli aspetti umani, nel lavoro con la sua compagnia, creando intorno a sé un legame solido e indissolubile fatto di intenti artistici speciali ed importanti. Per Luca non deve essere stato semplice uscire dall’ombra di un padre come Eduardo, ma con il tempo è riuscito a dimostrare di avere personalità e qualità portando avanti con estrema naturalezza il lavoro che il padre prima di lui ci aveva fatto conoscere. La storia d’amore di Luca De Filippo con il palcoscenico è iniziata prestissimo: a soli sette anni il padre lo fece recitare nel ruolo di Peppiniello nella commedia Miseria e nobiltà del nonno Eduardo Scarpetta. Nel giro di poco tempo Luca perse la mamma e la sorella Luisella ritrovandosi a dodici anni solo con un padre anziano; il vero debutto teatrale è a vent’anni con Il figlio di Pulcinella. Usa uno pseudonimo, Luca Della Porta, perché teme di apparire “raccomandato” mentre con il padre lavora sia in teatro che in tv in varie commedie eduardiane. Nei personaggi Luca metteva una nota sottile in più di cattiveria, di nera ironia, rispetto a Eduardo, un disincanto più dolente legato alla sua continua indagine sull’essenza e la solitudine dell’uomo, animale comunque sociale nel bene e nel male. La sua fisicità si fondeva con il modo d’essere e di parlare, coinvolgendo tutte le articolazioni, attraverso un ricco uso delle espressioni e degli sguardi, con la capacità di restare sempre vero mostrando un’umanità colpita dalla sorte e che non trova più pace.
Noemi Deroma