Il restauro del patrimonio architettonico. Cultura e metodo

Il 17 aprile, nella Sala Conferenze dei Musei Vaticani, si è tenuta la conferenza scientifica “Il restauro del patrimonio architettonico. Cultura e metodo”, organizzata dalla Direzione dei Musei Vaticani Sovrintendenza ai Beni Architettonici. Attraverso lo studio di antichi documenti, presenti negli Archivi Vaticani, il relatore della conferenza, prof. Nicoletta Marconi dell’Università di Tor Vergata, ha ricostruito l’affascinante storia della Fabbrica di San Pietro. Questa istituzione, creata nel 1506 da Giulio II Della Rovere, un papa che ha un particolare fascino per chiunque si occupi di storia dell’arte, era completamente svincolata dal controllo severo della Camera Apostolica. Pertanto riuscì a diventare, nel corso dei secoli, un vero e proprio laboratorio d’arte edilizia e formò generazioni di architetti, maestranze e funzionari edili. Ma non è solo questo il fascino della Fabbrica, che rappresenta anche il primo esempio di industria edilizia. Infatti, se da principio era nata per assolvere al compito titanico della costruzione della Basilica di San Pietro, presto conquistò il monopolio delle grandi opere, non solo a Roma, ma in tutto lo Stato della Chiesa. I suoi attrezzi, forgiati nelle fucine vaticane, le innovazioni tecnologiche, le maestranze, venivano “esportate” al di fuori della Basilica, naturalmente dietro adeguato compenso. Anzi, per conservare questo enorme tesoro di macchinari, attrezzature e tecnologie, vennero istituite le munizioni, una sorta di enormi magazzini dove queste venivano catalogate, inventariate e custodite e che, in alcuni rari casi, ancora oggi conservano. Quasi illimitata era la copertura economica di questa “corporazione”, che poteva contare sulle materie prime migliori, i più grandi intelletti in tutti i campi e, addirittura, su un porto fluviale privato (sotto i Bastioni di Castel Sant’Angelo), al quale fare attraccare le navi e le chiatte che trasportavano tutti i materiali. Molte furono le personalità eclettiche e ingegnose che fecero parte dei cosiddetti sanpietrini della Fabbrica. Architetti geniali, capomastri in grado di collaborare con essi, sciogliendo qualunque nodo realizzativo e soddisfacendo ogni loro richiesta, operai e maestranze varie, famosi per la loro professionalità e per le performances spesso acrobatiche e infine amministratori scaltri, capaci di compiere l’opera più grande, col minor dispendio economico e di tempo. Fra tutti, il Bernini, geniale creatore del progetto del colonnato di Piazza San Pietro, durante il quale, per far fronte all’esigenza di risparmio di tempo e denaro, egli istituì un modello quasi fordiano, con una rigida divisione del lavoro e una precisa gestione di uomini e di mezzi. Ma forse il personaggio più incredibile è mastro Nicola Zabaglia. Un capomastro illetterato, che inventò una serie di attrezzi e ponteggi di ogni sorta, adatti ad ogni situazione e condizione di lavoro. A lui e al suo ingegno fu dedicato il compendio “Castelli e ponti”, che rappresenta forse il primo grande manuale, in contrapposizione con il trattato, che aveva una valenza puramente teorica. Le invenzioni di Zabaglia furono riprese con successo anche a secoli di distanza e, al contrario, quando egli non fu interpellato, gli esiti furono spesso disastrosi, come nel caso della colonna di Antonino Pio, che si fessurò, cadendo da un ponteggio inadatto. La fabbrica esiste ancora oggi, dopo essere passata per il turbine della modernità, per l’Unità d’Italia e altre vicissitudini. Essa ha rappresentato uno snodo fondamentale per l’evoluzione e lo sviluppo della tecnica edilizia e per la storia dell’arte del restauro. Un affascinante scorcio della storia moderna, che svela la pratica che si cela dietro le grandi opere del passato.

Patrizio Pitzalis

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