Il palazzo che visse due volte. La seconda vita del “Colosseo quadrato”

 

Tutti lo conoscono come “er Colosseo quadrato” nome impostogli dall’irriverenza e dal gusto per lo sberleffo, insiti nell’anima del popolo romano, ma il suo vero nome è Palazzo della Civiltà Italiana. Il suo nomignolo “affettuoso” lo deve al suo aspetto: un parallelepipedo completamente bianco, le cui facce sono ricoperte, dalla base alla cima, di finestre ad arco, simili a quelle del simbolo di Roma, l’Anfiteatro Flavio. È stato l’emblema per eccellenza della retorica fascista, costruito per mostrare al mondo la forza dell’ingegno italico durante l’Esposizione Universale di Roma, come dimostra l’iscrizione sulla facciata principale, che celebra gli Italiani ‘Popolo di poeti di artisti di eroi/ di santi di pensatori di scienziati/ di navigatori di trasmigratori’. Bruno Zevi lo considerava privo di qualsiasi razionalità mentre Fellini e Antonioni seppero creare intorno ad esso un’aura di poeticità, consacrandolo come un monumento metafisico, che sembrava appena uscito da un quadro di De Chirico. Oggi questo simbolo minore di Roma è diventato il quartier generale di Fendi ed è rinato come spazio espositivo gratuito. Così studenti e turisti, ma anche il romano medio potranno scoprire quest’icona dimenticata e constatare che c’è qualcosa di più, oltre la sua caratteristica forma a gruviera, perfetta come sfondo per set cinematografici e fotografici. Si troveranno davanti ad un palazzo di cemento, marmo rosso e travertino, dove lavorano 400 persone su una superficie di 20mila metri quadri, dislocati su sette piani. Non sono mancate le polemiche riguardo all’affitto, considerato molto basso (240mila euro al mese!), offerto da Eur al marchio Fendi. Molti hanno voluto vedere in questa controversia una sorta di sciovinismo perché l’azienda non è più di proprietà italiana e questo ha riaperto la questione sull’eticità dei fondi privati (particolarmente quelli stranieri) per la riqualificazione di monumenti e bellezze pubbliche. Una diatriba che, personalmente, ritengo sterile, di fronte all’incapacità dimostrata dall’amministrazione pubblica di far fronte alle emergenze e alle necessità del patrimonio culturale nazionale (Pompei ne è un esempio perfetto). Se la moda può dare una seconda vita a un simbolo di Roma, lo faccia e le sia concesso di prendersene la responsabilità.

 

A Patrizio Pitzalis

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