Germania 1974.Arancia meccanica

La storia del calcio può essere sicuramente divisa tra quello che avvenne prima e tutto quello che successe dopo i mondiali del 1974. Quell’edizione fu organizzata (e vinta) dalla Germania, ma la vera protagonista fu la nazionale olandese. I “tulipani” mostrarono un gioco che non si era mai visto prima e, per certi versi, non si vedrà mai più. La “rivoluzione olandese” era cominciata anni prima con il Feyenoord e con il grande Ajax, che dal 1973 in poi vince tre Coppe dei Campioni consecutive, fino a che la squadra non viene abbandonata dalla sua stella più lucente, Joan Cruijff, uno dei cinque giocatori più forti della storia del calcio. Il motivo dell’abbandono è che i compagni lo boicottano e non lo votano come capitano della squadra (sì, all’Ajax il capitano viene eletto). Olanda 1974La stella andrà a giocare al Barcellona e da lì inizierà una diaspora, che di fatto spezzerà un’egemonia che altrimenti sarebbe durata altri 10 anni. Dall’edizione precedente, quella del 1970, una squadra africana ha il posto assicurato al mondiale, senza passare per gli spareggi, così si devono affrontare una squadra sudamericana e una europea per decidere l’ultima partecipante. Quell’anno lo spareggio è Cile – URSS. La partita d’andata si gioca nel settembre del ’73 in Unione Sovietica, ma pochi giorni prima, in Cile, c’è stato il colpo di stato militare di Augusto Pinochet, che rovescia il governo del presidente Allende (morto suicida) e prende il potere. Quella stessa notte vengono arrestati intellettuali, artisti e politici, ammassati nello Stadio Nazionale, torturati e trucidati dagli uomini del regime. Prima di partire per l’URSS, la squadra viene ricevuta da Pinochet; uno ad uno i giocatori stringono le mani al dittatore, tranne Carlos Humberto Caszely, che si piazza a braccia conserte davanti al generale e lo sfida. La partita d’andata finisce in parità e quella di ritorno viene disertata dai Sovietici. Il Cile scende comunque in campo, davanti a 15.000 persone e segna un gol nella porta vuota e nel campo privo di avversari. La squadra sudamericana si qualifica e nella partita inaugurale Caszely stende con un destro Vogts, terzino destro della Germania Ovest per evidenti divergenze politiche. Anni dopo il coraggioso mediano racconterà la triste storia di sua madre, violentata e torturata dal regime di Pinochet e questo spostò non di poco l’esito del referendum per la sua riconferma. Bisogna specificare Germania Ovest, perché a quel Mondiale partecipa anche la DDR, la Germania dell’Est, comunista e divisa dal muro. La squadra di calcio è sotto il diretto comando di Honecker e Mielke, dirigenti della Stasi, la terribile polizia di stato tedesca. In un clima di terrore e tensione politica, le due Germanie si affrontano il 22 giugno ad Amburgo. È una partita surreale e sembra avviarsi verso lo 0 a 0 ma, al minuto 77 la mezzala Jürgen Sparwasser segna il gol che dà la vittoria agli orientali. Nel salotto di casa sua una giovane ragazza esulta alla vittoria dei suoi beniamini. Quella giovane altri non è che Angela Merkel. La sconfitta farà molto bene agli occidentali, che di fatto vinceranno quella sera il loro mondiale, perché la guida morale della squadra passa dall’allenatore Schön al capitano Franz Beckenbauer. La storia più incredibile di questo Mondiale è però quella dello Zaire, la prima squadra dell’Africa Nera a partecipare alla kermesse. Alla fine dell’Ottocento il Paese fu conquistato da Leopoldo, re del Belgio e chiamato Congo. Sotto il domino di Leopoldo, 12 milioni di congolesi vengono uccisi, mutilati o sbranati dai suoi terribili cani. Finalmente, nel 1960, l’era coloniale finisce e il re Baldovino consegna il Paese a Lumumba, che non resisterà alla tentazione di sbattergli in faccia il fatto che loro non sono più le scimmie di nessuno. L’era di Lumumba dura poco e il potere passa a Mobutu, feroce signorotto della guerra che governerà per 30 anni nel terrore e nell’illiberalità. La prima partita dei “leopardi” finisce con una sconfitta per 2 a 0 contro la Scozia, con gol di Joe Jordan, che giocherà anche nel Milan. La seconda contro la Jugoslavia finisce addirittura 9 a 0 e la squadra viene visitata da alcuni uomini di Mobutu. La partita seguente è con il grande Brasile, detentore del titolo. Alla squadra verdeoro basta un 3 a 0 per qualificarsi e, puntualmente, vengono segnati i tre gol da Jairzinho, Rivelino e Valdomiro. Ma, a cinque minuti dal termine viene fischiata una punizione al limite dell’area al Brasile e sulla palla va Rivelino ma, dalla barriera, si stacca Mwepu, difensore dello Zaire che calcia via il pallone sfiorando la faccia del campione carioca. La verità si saprà anni dopo. Non è vero che gli Africani non conoscono le regole; la verità è che gli uomini di Mobutu avevano minacciato i giocatori dicendo loro che se avessero preso più di tre gol dal Brasile, non sarebbero tornati più in patria e le loro famiglie sarebbero state sterminate. In quel momento, dunque, fermo in barriera, Mwepu era disperatamente preoccupato per sé e i suoi cari. Al ritorno nel loro Pese i calciatori furono accolti come persone non desiderate e nel ’98 Blatter fece rispettare un minuto di silenzio per il grande centravanti di quella squadra, Mbungu, creduto morto e invece vivo in Sudafrica. La finale è la più annunciata della storia: Germania – Olanda. I due Paesi sono vicini eppure lontanissimi. L’Olanda venuta fuori dalla Seconda Guerra Mondiale ha vissuto la rivoluzione culturale molto prima degli altri Paesi europei e il suo sentimento di libertà e rinnovamento nasce anche dall’”odio” che provano per i Tedeschi. Il mediano della squadra, van Hanegem ha perso il padre e i fratelli, uccisi dalla Gestapo. Lui non vuole batterli, vuole umiliarli. Il movimento calcistico segue il cambiamento, guidato da due grandi personalità. Il già citato Joan Cruijff, definito da qualcuno “il Pitagora in scarpe da calcio”, rapido, capace di cambiare il ritmo in ogni momento, con un esterno destro celestiale e inventore delle “veroniche”. Ma non è solo bello da vedere, è anche straordinariamente pratico, è un vero olandese (gli Olandesi hanno “battuto” il mare che gli mangiava la terra). L’altro è l’allenatore Michel, che inventa il cosiddetto calcio totale, fatto di ricerca spasmodica dello spazio, di flessibilità in ogni giocatore, che deve saper fare tutto, di capacità di stringere e allargare il campo a piacimento. In porta hanno un strano tipo, Jongbleod, passato professionista a 34 anni e di professione tabaccaio, comunista, che non si butta se pensa di non poter prendere un tiro. Dall’altra parte la Germania di Beckenbauer, il ragazzo del coro, la faccia d’angelo, soprannominato kaiser per la somiglianza con il dolce sovrano bavarese Ludwig II: il classico borghese cattolico, che sposa la classica bionda tedesca. Gioca a calcio però divinamente. Poi, c’è Paul Breitner, detto “il rosso” perché è maoista (ma non disdegnerà i milioni di pesos del Real Madrid franchista) e, nel ruolo di centroavanti Gerd Muller, che non sa giocare a calcio, ha un fisico da operaio in sovrappeso e non dribbla una sedia, ma ogni palla che tocca è gol. A dirigere il tutto, il macellaio di Wolverhampton, che non è un serial killer, ma l’arbitro della partita, Jack Taylor, che di mestiere vende la carne. Prima della partita, loda l’organizzazione tedesca, ma poi, con grande ironia, fa notare che mancano le bandierine. Inizia la partita e, nei primi 68 secondi, l’Olanda non fa toccare palla ai Tedeschi. Cruijff viene atterrato in area, rigore per l’Olanda e 1 a 0. Poi i “tulipani” iniziano a specchiarsi troppo e prendono l’1 a 1 di Breitner su rigore e il 2 a 1 di Muller. Coppa alla Germania, ma immortalità all’Olanda, che inventò un modo di giocare mai pensato prima e mai riprodotto in seguito. Piccola curiosità: in una finale mondiale non era mai stato fischiato un rigore, Taylor ne fischiò addirittura 2!

Patrizio Pitzalis

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