Florence Henri 5 maggio 31 agosto Aule di Diocleziano a Roma

Innovatrice nella manipolazione delle immagini e della luce, arriva a Roma con una mostra monografica di 140 scatti attraverso i quali si coglie la dimensione sperimentale dell’artista.


“Bisogna che i volumi, le linee, le ombre e la luce obbediscano alla mia volontà e dicano ciò che io voglio far dire loro”
: così l’artista-fotografa descriveva il suo lavoro affinché nessuno potesse fraintenderne gli obiettivi.Libera e anticonvenzionale, influenzò il linguaggio visivo del ‘900 interpretando le avanguardie e anticipando molte delle tendenze successive.La mostra si svolge attraverso quattro sezioni tematiche, che dagli anni ’20 in poi documentano l’intera carriera della Henri. Le immagini in mostra danno della realtà una percezione ambigua, tra artificio, manipolazione e rappresentazione oggettiva. Un’intera sezione di quaranta opere riguarda Roma antica, riunendo per la prima volta l’intera produzione “romana” della fotografa e restituendo una dimensione teatrale della città. Il colonnato di San Pietro, i Fori Imperiali, i tesori dei Musei Capitolini si mescolano agli stili e allo sguardo delle avanguardie di inizio novecento negli scatti di Florence. Questi sono stati realizzati durante uno dei suoi viaggi in Italia nel 1931-32, ricomposti successivamente con la tecnica del fotomontaggio in sede di sviluppo e stampa delle fotografie, per ricreare situazioni ambientali diverse dal vero. Ritratti, nature morte.In questo autoritratto vediamo Florence dietro una cornice, apparentemente riflessa, in realtà cancellando parte del negativo l’artista ha creato soltanto la suggestione della sua immagine specchiata. Effetti visivi, montaggi e fotomontaggi ingannano l’osservatore che non si accorge come l’intera immagine sia una realtà ricostruita. Veri e propri enigmi visivi che si confermano nelle fotografie con ombre e riflessi, dove Florence Henri lavora con più scatti sullo stesso negativo.Una storia affascinante iniziata dalla musica, passata dalla pittura per arrivare, infine, alla fotografia mezzo dal quale fu folgorata e di cui riuscì a intuirne le potenzialità.Fin dagli esordi, ha avuto come amici e maestri i grandi innovatori della scena artistica: Piet Mondrian, César Domela, Robert e Sonia Delaunay, Nelly e Theo van Doesburg. Probabilmente proprio grazie a queste frequentazioni focalizza la sua ricerca sulla “composizione”, elemento centrale del suo linguaggio. Declinandolo in un modo unico: costruire nuove realtà visive che rimandano una all’altra.Effetto che ottiene con montaggi, collage, doppia esposizione, specchi o frammenti di esso, per costringere lo spettatore a un’indagine tra realtà e finzione. Questi procedimenti sfaccettano la realtà in visioni diverse, confondendo i confini tra l’artificio, la manipolazione e la rappresentazione oggettiva. Infatti il filo conduttore del percorso espositivo è rappresentato dalla modalità di lavoro e dalle sperimentazioni tecnico-stilistiche che hanno reso il linguaggio dell’artista così complesso da riuscire a contenere e interpretare, superandole, le dinamiche espressive delle avanguardie novecentesche. “Io non cerco né di raccontare il mondo né di raccontare i miei pensieri”, diceva l’artista, ma solo di “comporre l’immagine”. Per questo il “procedimento formale per lei era fondamentale, senza di esso non sarebbe mai riuscita a trasmettere il contenuto” così ha spiegato il curatore della mostra Giovanni Battista Martini.111

 

Florence, contro ogni convenzione morale propria dell’epoca in cui vive, rifiuta i precetti tradizionali, riempiendo il suo essere di un’educazione cosmopolita e di un’attitudine libertaria. In netto contrasto con l’ideale domestico, decide di vivere una vita da artista cercando di costruire una sua identità. Lo specchio tra le sue mani diventa strumento di conoscenza dell’Io all’interno della composizione fotografica.L’esigenza di distinguersi dando valore alla propria immagine è una pura mesa in scena per l’artista, che trova nella simbologia dell’astrazione una chiave di lettura della realtà che non è più rappresentativa ma diventa manipolazione intellettuale.Gli strumenti utilizzati sono la moltiplicazione dei punti di vista e delle forme, la frammentazione delle immagini e degli oggetti, il gioco di ombre proiettate, in modo da indurre lo spettatore ad avere interpretazioni incerte e destabilizzanti. Anche i paesaggi sono de-strutturati, ricostruzioni intellettuali e simboliche di un dialogo silenzioso tra spazio interno ed esterno. La mesa in scena è per Florence audacia d’intenti.Riservata e molto critica con il suo lavoro, tanto da aver distrutto numerose fotografie, “la Henri aveva però consapevolezza di quanto la sua figura fosse stata anticipatrice, anche perché donna, tuttavia non le interessava il femminismo: non ha mai amato le divisioni uomo-donna, perché lei era e si sentiva un’artista, e così veniva considerata dal suo ambiente”.

 

Anna Germano

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