DolceIta. Il food come missione culturale

La vera innovazione è tornare al passato e recuperare le tradizioni.        IMG_6447MAG    

Concreto il messaggio di Gianluca Villazzi, fondatore di DolceIta, alle nuove generazioni di chef e imprenditori del Food and Beverage world: «Riscoprire i sapori che hanno accompagnato la nostra infanzia sarà la sfida del futuro. – continua Villazzi – Mi ritengo fortunato rispetto alle giovani leve perché il mio cervello e il mio cuore hanno registrato profumi, odori e gusti che purtroppo le ultime generazioni hanno perso o non hanno avuto la possibilità di sperimentare. Con DolceIta desidero fortemente condividere anche all’estero l’eccellenza dell’enogastronomia italiana».

Classe 1967, di origini piacentine, Villazzi ha già dietro di sé ben quattro generazioni nell’ambito della ristorazione. Come maitre in una struttura del suo territorio si fa le ossa personalmente con l’opportunità di conoscere molti volti noti ed emergenti del mondo dello spettacolo.

Erano gli anni’80 – ‘90 e nomi come Vasco Rossi, Patti Pravo, Gianna Nannini… hanno gravitato nei luoghi natii di Villazzi.

«Ricordo che una mattina presto –racconta Villazzi – mentre stavamo allestendo la sala, Vinicio Capossela improvvisò per me e un cameriere una suonata al piano scordato che era lì e mai usato. Fu un’esperienza unica e indimenticabile».

Ma i suoi incontri non si fermarono ai personaggi del mondo della musica, anche se le sette note furono il suo trampolino di lancio: ha servito personaggi importanti della politica, del cinema, del jet set e solo per citarne alcuni… del calibro di Sandro Pertini, Ciriaco De Mita, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman.

«Non potrei dimenticare l’inimitabile bellezza ed eleganza della Principessa Carolina di Monaco. Ricordo anche la marca delle sigarette che fumava: le Cartier. Quel giorno era ospite a Piacenza dopo l’avventura con il marito Casiraghi alla Parigi-Dakar, presso una nota azienda locale produttrice di veicoli industriali. Firmò il Guest Book solo dopo essersi assicurata che ci fossero nomi alla sua altezza. Fortunatamente ce ne erano e in abbondanza. Per cui aggiunse anche la sua firma».

Ma fu proprio la musica, e nello specifico il jazz, che gli suggerì il salto nel mondo della ristorazione come imprenditore: alla fine degli anni ‘90 Villazzi, infatti, aprì il pub Jazz cafè a Roveleto di Cadeo e contemporaneamente inventò il Festival del Jazz (che attualmente è arrivato alla sua tredicesima edizione), di cui curò personalmente le prime due edizioni: «Furono anni dorati – ricorda Villazzi – in cui ho potuto conoscere personalmente Massimo Greco, Sandro Gibellini, Carmelo Tartamella, e tanti altri senza scordare il grande Parmegiani e la sua New Sugar Kitty Band che portai come ospite all’Expò di Hannover nel 2000».

 

Poter riconoscere la filiera produttiva di ciò che mangiamo è la garanzia che ci dà un valore aggiunto

 

Dal suo maestro Franco Ilari, fondatore dell’Antica Osteria del Teatro a Piacenza, dove ha lavorato per i primi anni della sua carriera, imparando il servizio a tavola la gestione del rapporto con il cliente, Villazzi è arrivato alla gestione attuale della ristorazione del circolo del MAE, del Circolo canottieri Lazio e del Roma Polo Club: «Amo il mio lavoro e soprattutto amo far gioire le persone con il cibo. Riuscire a farlo con le eccellenze italiane e mantenendo elevati standard è per me una missione culturale». Una missione che ben si sposa con il suo attuale ruolo imprenditoriale: il giornaliero contatto con realtà estere gli ha permesso di affinare le sue doti diplomatiche ma soprattutto di comprendere come diffondere la cultura del vero Made in Italy in accordo con le inevitabili contaminazioni multietniche.

«Il mio piatto preferito sono gli spaghetti al pomodoro che in realtà non è un piatto semplice come sembrerebbe – spiega Villazzi. – L’equilibrio tra gli ingredienti e la loro qualità sono l’asso vincente di un piatto. Per questo ho scelto di impegnarmi nel diffondere la cultura del buon mangiare. Con DolceIta, infatti, i prodotti delle eccellenze del Bel Paese hanno l’opportunità di farsi gustare dai palati gourmet di ogni dove. Poter riconoscere la filiera produttiva di ciò che mangiamo è la garanzia che ci dà un valore aggiunto».

Il rispetto del territorio e della stagionalità devono essere i principi della carta di identità del cuoco del terzo millennio: Innovazione e tradizione in un connubio di trionfo di eccellenze di sapori.

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