Cognomen omen. Il destino nel soprannome

Un tempo erano molto in voga, soprattutto in alcuni ambienti popolari e un po’ equivoci. Al tempo dei Romani, essi rappresentavano addirittura un dato anagrafico fondamentale, per distinguere i componenti di una stessa famiglia, che spesso avevano lo stesso nomen e praenomen. Oggi ne resta qualche traccia sparsa e, nelle periferie delle grandi città, si può sentire ancora qualcuno usarli, ma hanno perso la loro importanza. Sono i soprannomi, che un tempo caratterizzavano la vita delle persone a tal punto che sostituivano i nomi di battesimo e addirittura si tramandavano di padre in figlio. Oggi questa antica consuetudine rimane nell’ambiente sportivo, soprattutto in quello sudamericano, nel quale i tifosi rinominano i loro beniamini in base a caratteristiche fisiche e morali o avvenimenti occorsi durante la loro vita. Questi epiteti restano attaccati alla persona per tutta la carriera e persino dopo di essa. I più accaniti cultori di questa antica tradizione antropologica sono gli Argentini. Nel futbol albiceleste si chiamano apodos e sono fondamentali per comprendere le conversazioni dei tifosi argentini, altrimenti indecifrabili. Qualunque giocatore, che abbia militato nella primera division, ne ha uno anche se ha giocato per pochissimi minuti. E così si possono trovare Damian Gimenez detto el cibolla (la cipolla), Maxi Moralez el frasquito (il barattoletto) oppure Javier Saviola el conejito (il coniglietto). Ma anche gli allenatori possono averne uno, come Marcelo Bielsa detto el loco (il pazzo). Certo, la maggior parte degli epiteti sono legati a caratteristiche fisiche perciò, se sei magro, sei el flaco, oppure el guaton (il panzone) se sei grasso o ancora el chiquito se sei piccolino e addirittura el nano, se non arrivi a un metro e sessanta come Diego Buonanotte. Anche il colore della pelle può essere un fattore di attribuzione e così, a seconda della gradazione cromatica, si può diventare el negro, el turco o el colorado. Se non sei bellissimo ti chiameranno el carucha (la bella faccia) o se ti fai crescere i capelli lunghi e ricci potresti diventare el mono (la scimmia), ma il più sfortunato di tutti e l’attaccante del Newelles All Boys, Fabbiani, soprannominato el ogro (l’orco) per i suoi 97 kg distribuiti su 197 cm. Spesso però la fantasia dei tifosi si spinge verso confini inesplorati e sorprendenti. Come nel caso di Pablo Aimar, che ha giocato anche in Europa e che viene chiamato ancora oggi, dopo aver smesso di giocare, el payaso (il pagliaccio) per via di un travestimento carnevalesco ai tempi della scuola elementare. Il cileno Ivan Zamorano è detto Bam-Bam dal nome del personaggio dei “Flinstones”, mentre l’uruguaiano Diego Forlan è el Cachavacha, dal nome di una strega dei cartoni animati locali. In tempi più recenti, si può ricordare Sergio el Kun Agüero, soprannominato così dal personaggio di un cartone animato giapponese, che in realtà si intitolava “Kum-Kum”. Ci sono poi anche gli animali, come el lobo (il lupo) sopranome di Ledesma o el tigre Munoz. Affascinante, poi, il mondo della squadre britanniche, la cui storia e la cui tradizione sono tanto antiche e radicate, che ognuna di esse ha un soprannome per i componenti della squadra, legato alla sua nascita o ad una caratteristica che la contraddistingue. E così i giocatori del West Ham sono gli hammers, dal nome delle botteghe di fabbri che sorgevano nel luogo di fondazione della squadra, quelli dell’Arsenal sono i gunners, perché i suoi fondatori erano gli operai dell’arsenale di Woolwich, nel sud-est di Londra, dove si fabbricavano appunto i cannoni. I giocatori del Charlton, poi, sono gli addicks, dal nome di una varietà di merluzzo usata per cucinare il fish’n chips, di cui il primo presidente era un commerciante e con il quale, spesso, omaggiava la squadra avversaria. Il Preston North End è una squadra nata nell’antica sede di un priorato e il suo stemma rappresenta un agnello che porta una croce, inoltre la sua maglia è bianca e i suoi giocatori sono chiamati per questo lilywhites (gigli bianchi). Ancora, i giocatori del Portsmouth sono i pompeys, dal nome delle ciminiere Pompey che caratterizzavano il paesaggio al momento della fondazione, quelli dello Stoke City sono i potters, dal nome delle ceramiche che vengono prodotte nella cittadina e quelli dell’Everton sono i toffies (le caramelle) perché anticamente, vicino allo stadio, sorgeva un negozio di dolciumi. Naturalmente ci sono anche gli animali. I giocatori del Sunederland sono i black cats (i gatti neri) perché la leggenda vuole che prima di una finale, un gatto nero entrò nello spogliatoio della squadra che poi finì per vincere 3 a 0 quella partita. Ci sono i magpies (le gazze) del Newcastle, dal colore della maglia e i wolves (i lupi) del Wolwerhampton. Ci sono soprannomi anche culturali come quello dei giocatori del Tottenham, detti spurs, nome dato loro dai fondatori, giovani universitari, che si ispirarono ad uno dei personaggi dell’Enrico IV di Shakespeare, Harry Hotspur. Ma il più divertente è quello dei calciatori del Bolton, soprannominati trotters (corridori), perché nel XIX secolo si allenavano vicino ad un recinto di maiali e, quando il pallone finiva lì, erano costretti a correre veloci per sfuggire ai famelici animali.       

 

Patrizio Pitzalissport

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