L'Iran ha un nuovo Presidente

Rowhani-new-Iran-president_6-16-2013_105479_lNessuna “Primavera” di proteste per l’Iran. Il Paese mediorientale ha eletto, al primo turno e in assenza di disordini collettivi, il proprio presidente della Repubblica: Hassan Rowhani. Un moderato, un pragmatico, ma comunque un uomo di regime. Era l’unico dei sei candidati a portare il turbante tipico degli hojatolleslam, che nella religione sciita sono uno scalino al di sotto del rango di ayatollah; non essendo un Seyed, ovvero un discendente del profeta Maometto, il suo è di colore bianco. Nato nel 1948 a Sorkheh, una città della provincia di Semnan nel nord dell’Iran, prosegue gli studi tra la città di Qom e Teheran. Nella prima conosce Khomeini (si dice che fu tra i primi a chiamarlo con il titolo di Imam) diventando un suo sostenitore e svolgendo una serie di attività propagandistiche, pagate anche con l’arresto. Nel 1977 è costretto all’esilio, che si conclude a Parigi, in concomitanza con quello dello stesso Khomeini. Una volta rientrato in Iran, contribuisce dunque alla creazione della Repubblica Islamica. Per vent’anni deputato del Parlamento (Majles), è anche dal 1999 membro dell’Assemblea degli Esperti, che ha il potere di eleggere e revocare la Guida Suprema. Il suo curriculum rivoluzionario è dunque abbastanza impeccabile. Rowhani ha inoltre proseguito parte dei suoi studi presso la Glasgow Caledonian University in Scozia, ottenendo un master in filosofia con una tesi intitolata “The Islamic legislative power with reference to the Iranian experience” (“Il potere legislativo islamico con riferimento all’esperienza iraniana”) e un dottorato di ricerca in psicologia con un’altra tesi dal titolo “The Flexibility of Shariah (Islamic Law) with reference to the Iranian experience” (“La flessibilità della Sharia (legge islamica) con riferimento all’esperienza iraniana”). Poliglotta, negoziatore con i Paesi del 5+1 per la questione dell’arricchimento dell’uranio, esperto di questioni militari e di sicurezza in seguito alla guerra con l’Iraq, Rowhani è appoggiato da moderati e centristi, che in lui hanno riposto le proprie speranze dopo il ritiro dell’altro candidato riformista Aref. Il nuovo Presidente dell’Iran si presenta quale figura decisamente diversa rispetto al suo predecessore, il laico Mahmoud Ahmadinejad, ormai notoriamente entrato in conflitto con gli ayatollah, sostenendo di poter parlare con il Mahdi, ovvero l’ultimo Imam sciita, senza la mediazione del clero. Da parte sua il nuovo Presidente, seppur moderato, è comunque una figura interna al sistema e non certamente un oppositore. Tra i problemi principali che il neoeletto sarà chiamato a risolvere ci sono sicuramente la crisi economica, che ha ormai avvilito il popolo iraniano e il delicato reinserimento del Paese all’interno di un equilibrio strategico con i paesi occidentali, di cui l’Iran ha decisamente bisogno, avendo ormai conosciuto gli effetti negativi delle sanzioni internazionali “sulla propria pelle”. L’Iran in un modo o nell’altro deve uscire dall’isolamento in cui si è chiuso in questi ultimi anni, soprattutto con il fine di assurgere ad un ruolo guida all’interno di un Medio Oriente sempre più instabile. La vittoria di Rowhani sembrerebbe aver diffuso un senso di ottimismo tanto all’interno del Paese, quanto nel resto del mondo, che ha seguito con attenzione queste ultime elezioni, Italia inclusa. La stessa moneta iraniana, il rial, è leggermente rafforzato rispetto al dollaro nei giorni successivi al voto, dopo essere stato costantemente in ribasso dal 2011. Fiduciose anche le prime parole del neopresidente, il quale ha dichiarato che un “nuovo capitolo“ è ormai iniziato per la storia del suo paese, nella speranza che la stessa comunità internazionale mostri una retorica più rispettosa nei confronti della Repubblica Islamica. Ma la necessità di ristabilire un dialogo tra l’Iran e i paesi a questo ostili, dovrebbe provenire da entrambe le parti, pena il suo fallimento.

Silvia Di Pasquale

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