ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO L’arte italiana fra le due guerre in mostra a Roma

Dopo il successo della mostra Roma 900 (Villa dei Capolavori, Mamiano di Traversetolo, 21 marzo – 5 luglio 2015) è ora la Galleria d’Arte Moderna di Roma ad ospitare un cospicuo gruppo di opere provenienti dalla Fondazione Magnani-Rocca di Parma, per la polifonica rassegna Affinità elettive. Da de Chirico a Burri (17 dicembre 2015 – 13 marzo 2016). Promossa da Roma Capitale–Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla Fondazione Magnani-Rocca, la mostra è stata organizzata da Zètema Progetto Cultura, con il contributo tecnico di Atac, e curata da Mario Catalano, Federica Pirani, Gloria Raimondi e Stefano Roffi. All’origine dell’intensa collaborazione fra i due musei è l’intento di promuovere e valorizzare il patrimonio artistico del Novecento italiano, che, in termini di qualità, nulla ha da invidiare alle coeve esperienze europee.

Sono, in tutto, un centinaio le opere esposte: una quarantina provengono appunto dalla collezione Magnani-Rocca e altrettante appartengono alla GAM di Roma. Le restanti sono state fornite dal Macro-Roma e dalla Casa-Museo Alberto Moravia. Analogie e differenze fra i maggiori interpreti dell’arte italiana del Novecento sono messe in evidenza in un ramificato percorso espositivo che ne racconta lo sviluppo. La musica è il filo d’Arianna che guida i visitatori attraverso il labirinto: fra i suggestivi brani di sottofondo sono Notturno per piano (1904) di Ottorino Respighi, Claire de lune (1905) di Claude Debussy e Danse Sacrale (1913) di Igor Stravinsky. In apertura, spicca un dipinto di de Chirico, L’Enigma della partenza (1914), al quale vengono affiancate opere di diversi autori, che, muovendo dalla Metafisica, hanno elaborato soluzioni formali e stilistiche proprie, spesso fra loro anche molto distanti. Evidente è il progressivo recupero della realtà, che pure conserva i caratteri di ambiguità e mistero della Metafisica. Lo si nota in particolare nei dipinti di Filippo de Pisis, un terzo circa di quelli esposti nel primo piano della galleria. Protagonisti del secondo piano sono invece Giorgio Morandi e Gino Severini. Fra l’Autoritratto di Morandi (1925) e L’Angelo rapitore di Severini (1933-’35), una lunga serie di opere presenta una delle tematiche principali dell’arte italiana fra le due guerre, quella della natura morta, ossia una delle poche vie di espressione libera da qualsiasi riferimento politico. Studiando il rapporto fra gli oggetti e lo spazio circostante, molti artisti, oltre a Morandi e Severini, cercano di restituire alle cose più quotidiane l’identità poetica perduta. Fra questi vi sono Riccardo Francalancia, Roberto Melli, Mario Broglio, Francesco Trombadori, Afro Basaldella. Nonostante il Nudo coricato (1961) di Carlo Mattioli e i due bronzi di Giacomo Manzù, la Bambina sulla sedia (1955) e il San Giorgio (1972), che attestano la ricomparsa della figura umana, il motivo della natura morta domina anche il terzo piano. Lo dimostrano la Natura morta con pianoforte di Renato Guttuso (1947), le Rovine di Varsavia di Giulio Turcato (1948), l’Autunno di Alberto Savinio (1934), ma anche le opere di Mario Mafai, Toti Scialoja e Piero Sadun. La realtà è indagata in tutte le sue forme, finché qualcuno avverte la necessità di dare vita ad un’arte Informale, di cui il Sacco (1954) di Burri, acquistato da Magnani nel ’60, rappresenta il trionfo. A dispetto del titolo, la mostra si chiude con una sala dedicata principalmente all’opera grafica di Morandi, alla quale si accodano un’acquaforte di Antonio Ferro e due di Luigi Bartolini. Infine, non manca neppure una sezione documentaria relativa alla figura di Luigi Magnani stesso, fondatore del museo di Parma. Fra gli scopi dell’iniziativa, infatti, c’è anche quello di presentare al pubblico uno dei più brillanti e prestigiosi mecenati del secolo scorso.

 

Giada Sbriccoliz

 

 

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares