Nei labirinti di strade acciottolate che compongono l’anima del centro storico di Cremona, esiste un luogo dove il tempo assume una consistenza diversa, quasi palpabile, dolce come lo zucchero che da oltre un secolo viene lavorato dalle stesse mani sapienti, di generazione in generazione. La Pasticceria Lanfranchi non è semplicemente un esercizio commerciale, ma un capitolo fondamentale nella narrazione identitaria di una città che ha fatto della cultura e della raffinatezza il proprio linguaggio distintivo. In questo laboratorio di meraviglie, la dolcezza diventa memoria viva, e la memoria si cristallizza nelle forme armoniche di un impasto modellato con cura, di una glassa stesa con precisione calligrafica, di un’architettura di zucchero che racconta storie.
Ci troviamo in via Solferino, a pochi passi dal cuore pulsante della città lombarda, dove lo storico negozio si erge come baluardo di un’artigianalità che sfida la logica industriale del nostro tempo. Qui, in uno spazio che ha conservato la sua eleganza sobria e il suo fascino d’altri tempi, ogni gesto quotidiano rappresenta un legame con il passato, ogni ricetta è una testimonianza di continuità culturale, ogni creazione dolciaria è un capitolo del grande libro della tradizione gastronomica cremonese.
La storia di questo tempio del gusto ha inizio sul finire dell’Ottocento, quando Umberto Lanfranchi, artigiano visionario dalla mente fervida e dalle mani sapienti, fa ritorno nella sua Cremona natale dopo un periodo di formazione presso alcuni dei più rinomati atelier dolciari di Parigi. Il suo bagaglio non è fatto solo di valigie e ricordi, ma di tecniche raffinate, conoscenze preziose e sogni ambiziosi. È con questo patrimonio immateriale che decide di aprire un laboratorio in corso Campi, gettando le fondamenta di quella che sarebbe diventata un’istituzione cittadina. La sua visione era chiara: creare una proposta dolciaria capace di parlare alla sua città con un linguaggio innovativo, eppure profondamente radicato nella cultura gastronomica locale. Un dialogo tra antico e moderno, tra tradizione lombarda e raffinatezza francese.
Non avendo eredi diretti, nel 1919 Umberto scelse di affidare il futuro della sua creazione al nipote Aurelio Alberti, figlio della sorella della moglie Lina. Una scelta che si rivelerà provvidenziale. Aurelio, nato nel 1892, proveniva da un mondo diverso, fatto di manualità semplice ma precisa: il padre era falegname, la madre canestraia. Lui stesso aveva iniziato seguendo le orme familiari, dedicandosi alla produzione di cesti, dove aveva già mostrato una straordinaria abilità manuale. Ma lo zio intravide in lui qualcosa di più: una predisposizione naturale, un talento nascosto che meritava di essere coltivato e indirizzato verso l’arte più nobile della pasticceria.
L’apprendistato di Aurelio fu rigoroso, quasi monastico nella sua disciplina, ma l’allievo si rivelò all’altezza delle aspettative. La sua formazione subì un’interruzione con lo scoppio della Prima Guerra
Mondiale, che lo vide arruolato tra i ranghi dei Lancieri di Novara. Un’esperienza che, lungi dal distoglierlo dalla sua vocazione, arricchì il suo carattere con nuovi valori: la disciplina, il rigore, la precisione. Portò con sé anche una nuova passione: quella per i cavalli, che lo condusse a fondare il primo circolo ippico cittadino, ampliando così il suo ruolo di protagonista nella vita culturale cremonese.
Ma fu nel laboratorio di via Solferino che la vera natura di Aurelio trovò la sua massima espressione. Con il tempo, divenne non solo un punto di riferimento per la clientela più esigente, ma un vero maestro per generazioni di artigiani e apprendisti. Era un uomo dalla mente fervida, dalla manualità sopraffina e dalla grande cultura materiale. La sua bottega non era semplicemente un luogo di produzione, ma un vero e proprio atelier dove l’arte incontrava l’artigianato, dove ogni creazione raccontava una storia, ogni dolce rappresentava un pezzo di cultura.
Tra i capolavori che hanno consegnato il nome di Aurelio Alberti alla memoria storica della città, impossibile non citare la celebre “Nave Italia”, creata in occasione della visita della Regina Margherita a Cremona. Un’opera di tale perfezione che sembrava quasi pronta a prendere il mare, un miracolo di equilibrio e proporzioni realizzato interamente con zucchero e caramello. O ancora, la spettacolare riproduzione del Torrazzo e della facciata del Duomo – inserita in un grande uovo di cioccolato nella Pasqua del 1947 – alta più di un metro e composta da ben trecentosessanta pezzi, un’opera che richiese settimane di paziente lavoro manuale e che attirò l’ammirazione di tutta la cittadinanza.
Non si trattava semplicemente di dolci, ma di vere e proprie sculture commestibili, opere d’arte effimere che rivelavano una profonda conoscenza delle tecniche, dei materiali, ma soprattutto una sensibilità artistica non comune. Aurelio modellava con lo zucchero e il caramello fiori, monumenti, simboli religiosi e scenografie liriche con la stessa maestria di uno scultore rinascimentale che plasmava il marmo. E mentre lavorava, spesso dilettava i presenti cantando con la sua bella voce baritonale romanze del repertorio operistico, quasi a sottolineare il legame profondo tra le diverse forme d’arte.
Nel frattempo, l’attività aveva cambiato più volte sede. Dopo l’iniziale laboratorio di corso Campi, Aurelio si trasferì nel 1925 in via San Giuseppe, dove si specializzò nella produzione di caramelle e cioccolato, per poi ritornare nel 1927 nella sede originaria. Fu solo nel 1937 che la pasticceria trovò collocazione definitiva in via Solferino, nel cuore pulsante della città. Gli interni, sobri ed eleganti, furono concepiti per riflettere la raffinatezza dei prodotti esposti: un equilibrio tra rigore artigianale e senso estetico, tra memoria e innovazione.
Durante la sua lunga e prolifica carriera, Aurelio ricevette numerosi premi e riconoscimenti, tra cui la Medaglia d’Oro all’Esposizione di Milano del 1923, il Primo Premio UNICEF nel 1956 e il prestigioso titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica nel 1957. La sua figura è ancora oggi ricordata non solo come quella di un grande pasticcere, ma come testimone attivo di una cultura del fare, fondata sulla qualità, sul lavoro e sull’amore per la propria terra.
Dai primi decenni del Novecento fino al secondo dopoguerra, il laboratorio di via Solferino fu dunque testimone e protagonista di una storia che attraversava il gusto, il costume e l’identità di una città intera. Ogni creazione, ogni vetrina, ogni decorazione parlava di un mondo fatto di cura e di sogno, di rigore e di fantasia. Non sorprende, dunque, che questo luogo sia stato inserito nel 1993 tra
i Locali Storici d’Italia, prima fra le pasticcerie di Cremona. Un riconoscimento che la pone accanto a nomi prestigiosi come il Caffè Florian, il Gambrinus di Napoli o il Greco di Roma, testimoniando il valore non solo gastronomico, ma anche culturale della sua attività.
Ma a rendere realmente unica questa realtà è la fedeltà alle origini, la continuità di un metodo che non ha ceduto alle lusinghe della modernizzazione selvaggia. Ogni dolce è ancora oggi realizzato a mano, seguendo le ricette tradizionali e scegliendo ingredienti naturali, senza conservanti. Una filosofia che si riflette in tutti i prodotti, a partire dal celebre Pan Cremona, una torta brevettata nel 1960 e diventata simbolo cittadino, tanto da essere riconosciuta ufficialmente con un marchio depositato presso il Ministero dell’Industria e del Commercio.
La sua origine risale agli anni Cinquanta, quando Nello Bertoli, marito di una figlia di Alberti e collaboratore di Aurelio, decise di creare un dolce che potesse rappresentare la città e proseguire l’eredità del laboratorio con uno stile più moderno, ma fedele alla classicità dei sapori. Morbido come un pan di Spagna, ma più ricco nella struttura, il Pan Cremona conquista al primo sguardo con la sua copertura di cioccolato fondente Lanfranchi Mémorable: una miscela esclusiva di tre monorigine selezionate per l’equilibrio aromatico e la bassa acidità. All’interno, un impasto profumato e avvolgente, ottenuto con uova freschissime, miele di acacia della Toscana e mandorle pregiate provenienti da Puglia e Sicilia. Ogni passaggio della lavorazione è affidato a gesti antichi, come la spatolatura a mano della glassa e la decorazione con riccioli di cioccolato al latte, che rendono ogni torta un prodotto unico.
Disponibile in diverse pezzature per adattarsi a ogni occasione, dal momento intimo della colazione al dessert conviviale dopo cena, il Pan Cremona non conosce stagionalità: lo si trova fresco e fragrante tutto l’anno, confezionato con cura in eleganti scatole che ne custodiscono la fragranza e ne esaltano l’identità. Ciò che lo rende così speciale, tuttavia, non è soltanto la bontà degli ingredienti o la precisione della lavorazione, ma il valore simbolico che incarna. Non è solo una ricetta: è il racconto dolce e profondo di una famiglia, di una città, di una visione dell’artigianato come arte. Ogni fetta narra una storia di equilibrio e passione, di gesti lenti e saperi precisi, che si rinnovano ogni giorno nel laboratorio di via Solferino.
Accanto al Pan Cremona, il torrone: dolce leggendario che affonda le sue radici nelle celebrazioni rinascimentali, rievocate dalla tradizione popolare come legate alle nozze tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Secondo la leggenda, i pasticceri di corte avrebbero creato per l’occasione un dolce ispirato alla torre campanaria della città, il Torrazzo, unendo mandorle, miele e albume in una costruzione simbolica. Sebbene questa versione sia affascinante, le origini del torrone sono ben più complesse, con possibili influenze arabe, spagnole e francesi: il nome stesso sembra derivare dal latino “torrere” (tostare) o dallo spagnolo “turrón”.
Ma è a Cremona che questo prodotto ha trovato la sua consacrazione, diventando emblema gastronomico e culturale della città.
Nella sua versione più autentica, il torrone è un equilibrio perfetto di ingredienti semplici e preziosi: mandorle tostate al 60%, miele di acacia della Toscana, albumi freschissimi montati a neve e zucchero, dosati con sapienza e lavorati a mano in funzione della temperatura e dell’umidità ambientale. L’atelier di via Solferino conserva l’arte antica della sua produzione, rifiutando qualsiasi conservante e modulando ogni impasto con una sensibilità artigiana che sfida la standardizzazione. Ogni
passaggio – dalla miscelazione alla cottura lenta, fino al taglio e al confezionamento – è affidato all’occhio esperto e alla mano di chi conosce il mestiere da generazioni.
Il risultato è un prodotto che si distingue per struttura, aromaticità e consistenza, prodotto in dodici precise varianti che rappresentano l’autentica produzione del laboratorio artigianale. Produzione che si articola su tre tipologie fondamentali – alle mandorle, alle nocciole, e alle mandorle e pistacchi – ciascuna declinata sia nella versione tenera che in quella friabile, e poi ulteriormente interpretata nella versione classica o ricoperta dal pregiato fondente Lanfranchi Mémorable. Queste dodici varianti in stecca costituiscono il nucleo della produzione diretta della maison, mentre altre qualità e forme sono realizzate a marchio Lanfranchi ma non direttamente nel laboratorio di via Solferino. Ogni creazione è pensata per accompagnare momenti diversi, dal fine pasto alla merenda, e si presta ad abbinamenti raffinati con tè, caffè o vini dolci da dessert.
Il torrone di questa storica bottega non è semplicemente un prodotto dolciario, ma un patrimonio vivente, che coniuga savoir-faire artigianale e radicamento territoriale. Ogni morso racconta una storia di perseveranza e di dedizione, capace di rinnovarsi senza mai perdere la propria autenticità. E come per ogni creazione firmata dalla maison cremonese, anche qui l’estetica ha un ruolo chiave: le confezioni sono eleganti, pensate per esaltare il valore del contenuto e per farne un dono ricercato in ogni stagione dell’anno.
Impossibile non menzionare il cioccolato, pensato e creato in collaborazione con l’Accademia Barry Callebaut: tre monorigine selezionati da Madagascar, Perù e Tanzania per ottenere una miscela fondente al 70,6%, elegante, equilibrata, armonica. Il Lanfranchi Mémorable, così è stato chiamato, è diventato l’anima di molte specialità: dalle torte ai dolci al cucchiaio, dai graffioni ai marrons glaces, fino alle scorzette d’arancia. Ogni prodotto rispecchia la volontà di offrire qualcosa di raro e personale, in grado di unire memoria e innovazione.
In questa raffinata bottega del gusto si susseguono dolci da forno come la sbrisolosa, la torta di amarene, quella alle pere e cioccolato o la tradizionale Torta Cremona, accanto a un ricco repertorio di biscotti, pasticcini, marmellate, confetture e mostarde. Queste ultime, in particolare, raccontano l’altra anima della gastronomia cremonese: lavorate artigianalmente, senza coloranti né conservanti, sono prodotte a partire da frutta fresca selezionata e pelata a mano. Le varianti sono numerose, dalla classica alla più creativa, come quella al cioccolato. Anche in questo caso, l’atelier rivela una versatilità che non snatura la tradizione, ma la esalta con intelligenza e misura.
La tradizione dell’arte dolciaria a Cremona ha origini antiche e gloriose, come poche altre città italiane. Radici comuni con l’arte della panificazione (sono entrambe riconducibili sotto la terminologia di “arte bianca”), che possono farsi risalire al periodo storico nel quale fu scoperta, da parte dei Crociati nel territorio di Tripoli di Siria, la canna da zucchero, a sua volta importata dall’Arabia dov’era già in uso fin dal VI secolo d.C. Lo zucchero rappresentò infatti – in alternativa al miele, già utilizzato come dolcificante nell’antico Egitto – il primo indispensabile ingrediente da unirsi alla farina di grano per ottenere prodotti dolciari.
Col passare dei secoli naturalmente l’arte dolciaria andò affinandosi ed ogni regione si specializzò nella produzione di dolci particolari, tali da caratterizzare e contraddistinguere il territorio di provenienza. A cominciare dal Rinascimento i pasticceri cremonesi seppero introdurre nella produzione dei dolci essenze, profumi distillati, come l’acqua di rose, il sandalo, il sapor muschio ed
ambra, le spezierie mescolate a mandorle. E la creazione del marzapane, un biscotto di lusso diffusissimo nel ‘400, formato da uova, zucchero e mandorle dolci, insieme ad altre innovazioni, contribuì a migliorare la produzione dolciaria della città lombarda, diventata più varia e gustosa, adatta ad arricchire le mense dei signori del tempo.
Nel corso del ‘600 i pasticceri cremonesi, detti offellai, erano riuniti in corporazioni che dettavano regole severe per l’uso degli ingredienti (si poteva usare solo zucchero “schietto”) e per la commercializzazione dei prodotti, vigilando che non ci fossero “sfrosatori”. Per tutto il ‘700, fino al secolo successivo, dare vita a botteghe di pasticceria costituiva un investimento sicuro. Ma solo alla fine dell’800 ed ai primi decenni del ‘900 la spinta imprenditoriale dei pasticceri si affermò più compiutamente, allorché si organizzarono mostre e fiere che richiamavano in città esperti di fama nazionale.
Oggi come allora, chi entra in questo spazio non trova semplicemente un dolce, ma un frammento di storia. Ogni dettaglio è pensato per offrire un’esperienza autentica, fatta di gesti antichi, profumi riconoscibili, sapori profondi. La qualità, qui, non è mai stata un valore di tendenza, ma una costante, un dovere, un atto di rispetto nei confronti della città e dei suoi abitanti. Non servono fronzoli né proclami, basta un assaggio per comprendere il valore di una tradizione che non smette di raccontarsi, con discrezione e intensità, da più di cent’anni.
Diversamente da altri celebri caffè storici italiani, nessun “grande” del passato ha contribuito a rendere famosa questa pasticceria cremonese. Non ci sono stati Svevo o Joyce, come al Caffè degli Specchi di Trieste, né Bizet, Wagner o Gogol, come al Caffè Greco di Roma, e nemmeno Gabriele D’Annunzio che improvvisava versi, come al Gambrinus di Napoli. A renderla celebre è stata soltanto la qualità dei suoi prodotti: dal torrone alla mostarda, dal Pan Cremona ai numerosi e svariati dolci di pasticceria, esclusivamente artigianali. Frutto di una tradizione che ha fatto di questo luogo il “fiore all’occhiello” di Cremona.
Percorrendo le strade del centro storico della città lombarda, non si può non essere colpiti dalla sensazione che il tempo qui abbia un ritmo diverso, più lento e più profondo. E in via Solferino, dietro la vetrina elegante della Pasticceria Lanfranchi, si scopre che la dolcezza può essere un linguaggio complesso e articolato, capace di raccontare la storia, la cultura e l’identità di un intero territorio. Un linguaggio che continua a parlare al palato e al cuore, con la stessa intensità e la stessa poesia, da oltre un secolo