Angelo Gaja e il suo Barbaresco: la fierezza di chi pensa diversamente.

Dire “Angelo Gaja”, nel mondo del vino, è un po’ come nominare “Maradona”, “Pelè”, “Ronaldo” o “Messi” per un appassionato di calcio: semplicemente il top! Un marchio famoso nel mondo, con un’immagine forte e visceralmente legata ad un territorio, il Piemonte, ed una cantina simbolo della grandezza del Barbaresco e del Barolo: la Cantina Gaja, da oltre cent’anni, produce vini che sanno decantare la poesia del proprio territorio nel bicchiere…

Questa “storia divina” comincia nel 1859 a Barbaresco, nel cuore delle Langhe, per attestarsi col tempo in maniera stabile, nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, come uno dei nomi simbolo nella produzione di Barbaresco.

Dal fondatore, Giovanni, sino ad Angelo Gaja, siamo al cospetto di una famiglia che ha saputo imporsi nel panorama vitivinicolo mondiale grazie ad una ricetta ben precisa: la ricerca della qualità.

Il Piemonte, regione particolarmente vocata alla produzione di grandi vini, è la culla ideale dove accudire il Nebbiolo, nutrendolo con passione e competenza, doti che appartengono da sempre all’attuale timoniere, Angelo Gaja. Suo il merito negli anni ’60, di rinnovare le tradizioni ed importare nuove tecniche produttive: dall’abbattimento della produzione per ettaro ad un maggior controllo della temperatura di fermentazione, fino ad un attento uso della barrique e l’utilizzo di tappi più lunghi.

È così che Gaja ha saputo restare al passo con i tempi, senza rischiare mai di ancorarsi eccessivamente alle tradizioni; un successo, quello di Gaja, costruito con intelligenza e intuizione, ereditato dal rigore e dai sacrifici dei predecessori e sviluppato e consolidato negli ultimi decenni grazie alla formidabile guida di Angelo, che l’8 marzo scorso ha spento le sue prime 80 candeline.

Una vitalità, un’energia, una lungimiranza veramente fuori dal comune, per questo “Maestro del Vino” che della sua giovinezza ha mantenuto tutto: dallo spirito critico alla voglia di battere sentieri sempre nuovi, sperimentando e andando anche spesso controcorrente, semplicemente infischiandosene.

“Impara a pensare diverso” è il mantra con cui è cresciuto fin da bambino quello che oggi è uno degli uomini più famosi al mondo in questo settore, che ricorda come 41 anni fa, nel 1979, quando in azienda decisero di avviare il progetto di “GAIA & REY”, piantando in Langa il primo vigneto di Chardonnay, destinato a produrre un vino bianco capace di maturare lentamente e meravigliosamente in bottiglia, si trattasse di qualcosa mai fatto prima in Piemonte.

“Eppure, siamo riusciti ad ottenere, dopo lunghi anni di ricerca e di costante applicazione, il riconoscimento internazionale al quale ogni grande vino aspira – ci racconta Angelo Gaja con orgoglio, che poi ammette anche – Forse, in vita mia, ho persino abusato un po’ troppo del pensare diverso, mi rincuora, però, pensare che mio padre ne sarebbe stato felice.”

Nel tempo Angelo Gaja con la sua cantina ha cercato di apprendere tutte le cure e le attenzioni necessarie per mantenere il vigneto sano e ricco, sposando la qualità con il marketing, senza soffrire di complessi di inferiorità rispetto alla Francia: “ritengo, infatti, che noi italiani, se lo vogliamo, possiamo fare altrettanto bene e godere sui mercati internazionali della stima e del rispetto che ci stanno a cuore.”

In questo difficile 2020, nel periodo buio, quello di massima aggressione del virus, la sua azienda non ha licenziato nessuno e non ha nemmeno fatto ricorso alla cassa integrazione: “Ci sentivamo di operare in questo modo, è stato un rischio calcolato che potevamo accollarci. Non per questo ci sentiamo migliori di altri; a ottant’anni mi sento ancora utile, sono mia moglie ed i figli a farmelo intendere. Continuare l’attività lavorativa è per me un lusso che mi viene concesso dalla buona salute e dall’armonia che c’è tra i componenti della famiglia.”

Il Covid ha innescato nel Paese una crisi che ha colpito tutti i settori, in misura maggiore, però, l’Ho.Re.Ca ed il turismo, che alimentano il consumo del vino, utile ad animare festa, convivialità, condivisione, emulazione, sorpresa, ammirazione, esibizione… Neppure il cibo riesce a superare l’aspettativa che il vino di qualità e di prestigio genera negli eno-appassionati ed in coloro che ne subiscono il fascino. La crisi impone dei cambiamenti ed offre nuove opportunità: “Non tutto il Covid vien per nuocere. Per il vino italiano che ha già raggiunto dei livelli di qualità ragguardevoli, sarà la volta di applicare sui mercati internazionali un marketing più mirato a valorizzarne le unicità e specificità.”

Unicità e specificità che Angelo Gaja ritrova nel Barbaresco, il vino a cui si sente più legato perché è il vino che il padre gli insegnò a bere con giudizio e regolarità, fin dal raggiungimento della maggiore età, accompagnandolo sempre al cibo. “Non pretendo che sia il vino migliore al mondo, ma è quello che conosco più di ogni altro, dal quale so esattamente attendermi le sfumature, le sorprese, l’estasi e raramente anche le delusioni.”Un insegnamento vitale, di un uomo che ha fatto del vino la sua filosofia di vita, una filosofia declinata come i grappoli di uva in tanti chicchi di passione, lavorio e determinazione.

Tutte le foto sono di proprietà della famiglia Gaja.

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