Massimo Lugli, Antonio del Greco, ‘Il Canaro della Magliana’. Il romanzo di una vicenda criminale, vecchia di trent’anni, che sconvolse e turbò Roma e l’Italia intera

Scartò la bustina di stagnola e rovesciò la polvere sullo specchietto, picchiettando con le dita per evitare che ne restasse qualche residuo attaccato. Il mucchietto bianco gli sembrò minuscolo. Sospirò sconfortato. Due strisce al massimo. Le ultime”.

Un rituale, il suo, la ricerca del piacere, di un’evasione da una realtà grigia, ma questa volta non era come le altre, per lui; aveva fretta, doveva finire il ‘suo’ lavoro.

Si chinò sulla prima pista e inspirò”. Un flash improvviso lo percosse tutto, una vampata di calore gli salì dalle viscere dello stomaco, il cuore che pompava velocemente, la testa si fa leggera; “roba strepitosa, il Secco aveva ragione. Ma era finita. E la cosa stava aspettando”.

Ed ecco, là sul pavimento, ‘la cosa’, quel corpo orribilmente mutilato, il cadavere del ‘suo’ mostro, sconfitto per sempre, che giaceva tra grumi di sangue nerastri; lui l’aveva sconfitto, lo a aveva ucciso, si era vendicato finalmente. Ora “tutto doveva finire com’era iniziato. Senza pause, senza interruzioni”.

Questa è il raccapricciante racconto del Canaro della Magliana, che inquietò Roma, ed una Italia intera, sul finire degli anni ‘80. Storia di cronaca nera, storia di rabbia e vendetta, storia di gente maledetta, di quartieri maledetti, che affogano nel degrado e nella criminalità; ma ciò che successe in quel freddo febbraio 1988, fu qualcosa che travalicò i confini territoriali di un quartiere di periferia, già noto alle cronache malavitose, come la Magliana, che scosse l’opinione pubblica, la sconvolse profondamente, perché non fu un semplice fatto di criminalità, non fu solo un efferato delitto; quel corpo orribilmente mutilato, scarnificato, martoriato, e dato poi alla fiamme, ritrovato in una discarica, raccontava molto di più: è l’abisso dell’umana follia sadica, dove si annida il desiderio di vendetta, mescolato con la feroce rabbia, con la voglia di riscatto per un’infelice esistenza, con la smania di rivalsa contro chi ha oltremodo tormentato il proprio quieto vivere, facendogli, così, pagare violentemente ogni sopruso, ogni umiliazione, ogni vessazione, che il ‘mostro’ gli aveva inflitto.

Questa è la nera storia di Pietro de Negri, il Canaro della Magliana, e della sua vittima, Giancarlo Ricci, un ex pugile dilettantistico, un criminale di basso bordo; storia vera che sconvolse l’Italia intera, e che oggi possiamo rileggere, a distanza di trent’anni, attraverso la straordinaria penna di Massimo Lugli, cronista di nera, da marciapiede, e di Antonio del Greco, poliziotto vecchia maniera, un poliziotto della strada.

Sono loro infatti, gli autori dello sconvolgente romanzo edito da Newton Compton, ‘Il Canaro della Magliana’, che ripercorre i fatti di cronaca di allora con una fedeltà ed un coinvolgimento, che sin da subito, affascina il lettore.

D’altra parte, Lugli e del Greco, allora, furono, a loro modo, attori in quella vicenda, il primo, cronista sul campo, ne raccontò i fatti, l’altro fu tra i poliziotti che arrestarono la feroce belva; loro testimoni diretti di un efferato caso di cronaca, oggi ripercorrono, insieme, quelle vicende, raccontando lucidamente i dettagli della tragica storia, l’inquietudine e lo sconvolgimento che generò nella società, il rinvenimento di quel cadavere, l’ansia di chiudere, quanto prima, quel caso assurdo, inserendo il tutto, però, in una perfetta cornice romanzata, mescolando sapientemente, fiction e realtà, verità e fantasia, che conquistano immediatamente l’attenzione del lettore, e lo trascinano, pagina dopo pagina, nei profondi e perversi abissi della mente umana.

Mutano i nomi dei protagonisti, ma non la verità dei fatti. Il quartiere è lo stesso di allora, la Magliana, un lembo di periferia romana, abbandonato a se stesso, dove prospera il degrado, la piccola delinquenza, lo spaccio, dove vivono disgraziati che nella droga trovano la loro fuga dalla realtà, dove vivono piccoli boss locali protetti dall’omertà e dalla paura, il tutto accanto a gente normale, semplice, gente che vive la propria onesta quotidianità, facendo finta di non vedere, di non sentire, di non capire.

È in questo quartiere, già salito alle cronache nazionali per la storiaccia di una violenta banda che voleva ‘pijasse Roma’, che fu rinvenuto, in una discarica, il cadavere di un uomo mutilato e bruciato. Nessun indizio, nessuna ipotesi su quel corpo martoriato, una verità che deve essere fatta emergere con i vecchi sistemi di allora: nessuna scientifica, né Ris, né tecniche all’avanguardia; semplicemente il buon vecchio fiuto dell’investigatore da strada, che faticosamente mette insieme tasselli minuscoli di verità, supposizioni, intuizioni, il tutto reso, però, ancora più difficile da un quartiere che non parla, che non collabora, che sembra neanche curarsi di quello ‘spezzatino’ ritrovato nella discarica.

Ad indagare è l’ispettrice di polizia Angela Blasi, che in quel quartiere c’è nata e cresciuta, ma che da quel quartiere è fuggita via per tempo, abbracciando una divisa ed un distintivo.

Ora lei è dall’altra parte della barricata, una nemica, non più una figlia della Magliana, ma lì, lei, indagando su quell’efferato delitto, dovrà fare anche i conti con il proprio passato, ritrovare se stessa, riannodando fili di una vita, lasciati sospesi nel tempo, riscoprirsi diversa, più insicura, più fragile, più umana, e perdendo qualcosa per lei, di molto caro.

E c’è la storia di quel cadavere mutilato e bruciato. Roma, ma anche l’Italia tutta, non è luogo di riti satanici, e casi simili sono pressoché rarissimi. La criminalità ammazza, spara, uccide, e lo fa in una strada, in una piazza, per dare l’esempio a tutti gli altri, per far capire chi comanda e a quali regole si deve sottostare. Un cadavere può essere sì, bruciato, come massima punizione, o più semplicemente, fatto sparire, ma un corpo carbonizzato dal fuoco, orribilmente mutilato e sfregiato, non è opera di un criminale, c’è dietro la mano di un sadico, e ciò fa più paura.

Indagini che stentano a decollare, vista la difficoltà a reperire utili elementi, e che trovano una svolta quando viene identificato il corpo della vittima. È un ragazzo del quartiere, un ex pugile dilettantistico, un violento, un piccolo criminale di bassa lega, un prepotente dedito alla violenza, alla vessazione, al sopruso. Uno così, in un quartiere come quello della Magliana, prima o poi, fa la sua brutta fine.

Ma lo sfregiare il suo corpo, prima di lavarlo con il fuoco, racconta altro, molto altro. E grazie anche ad un indizio, che emerge indagando e mettendo sotto pressione l’intero quartiere, che scopriamo l’assassino. Un uomo apparentemente mite, fragile, silenzioso; uno di quelli che vivono quasi ai margini della società, invisibile a tutti: qualche piccolo problema con la giustizia, saldato nel passato, una vita anonima vissuta nel suo negozietto di toelettatura per cani, l’uso di stupefacenti per fuggire da quella realtà soffocante e vuota.

Ma mettendoli a confronto, il truce pugile, violento e rissoso, una montagna di muscoli e poco cervello, bruciato dalle droghe, e quell’esile corpo minuto del Canaro, lo sconvolgimento attanaglia tutti quanti. Come è riuscito il Canaro ad avere la meglio sul pugile? E perché lo ha fatto? Cosa li legava e, soprattutto, perché tutta quella sadica violenza?

E così, la storia del Canaro, diventa il racconto di Davide contro Golia, di chi è stanco di prendere gli schiaffi dalla vita, e decide di vendicarsi.

Per questo, il Canaro divenne quasi un eroe, in quel quartiere, e non solo, perché in molti riuscirono ad indentificarsi empaticamente, con lui.

E, nel romanzo scritto da Massimo Lugli e Antonio Del Greco, la sua storia s’intreccia con quella romanzata dell’ispettrice Blasi, che diventa centrale, e scandisce i tempi dell’indagine, riempiendo, in modo appassionante, i vuoti letterari.

Ma la storia raccapricciante raccontata, le indagini di polizia, l’agire dei cronisti, come avvoltoi sul cadavere, per fare carriera, tutto ciò, è verità pura, una verità che solo i protagonisti di allora, come Lugli e del Greco, conoscono e possono raccontare.

E quel terrificante, sconvolgente verbale di polizia, messo in appendice, è lì a testimoniarlo.

 

 

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