DANIELE SALVO RIPORTA IN TEATRO LA MEDEA DI LUCA RONCONI. LO SCONTRO TRA CULTURE DIFFERENTI, LA TRAGEDIA TRA UMANE VENDETTE, SEMPRE COSÌ ATTUALE, ANCORA OGGI   

In tutti gli altri eventi, piena è la donna di paure, e vile contro la forza, e quando vede un ferro; ma quando, invece, offesa è nel suo talamo, cuore non c’è del suo più sanguinario”. 

È Medea, l’eroina della straordinaria tragedia di Euripide; donna forte e volitiva, donna coraggiosa e ambiziosa, ferita nella dignità e nell’orgoglio, messa alla porta dal suo uomo, dopo averlo aiutato nell’inseguire le sue fortune ed il suo destino, privata di ciò che sente appartenerle di diritto, Medea non si strugge nel pianto femminile, non accetta rassegnata, la sua tragica fine, lei lotta furente, vendicando atrocemente l’affronto subito. 

Una tragedia, questa di Euripide, che ha molteplici chiavi di lettura, così legata al mondo greco classico, ma anche così moderna, con la sua potenza struggente e dolorosa, con la sua forza vibrante, che ha sempre affascinato il mondo del teatro, e convinto tanti registi e attori a cimentarsi con essa. E c’è chi, tra loro, la ripropone rimanendo legato alla classicità del testo teatrale scritto da Euripide, e chi, invece, ne sviscera le chiavi interpretative, slegandola dalla sua forma e lasciandola esplodere in tutta la sua forza, restituendole una modernità che è, proprio, insita in sé. 

Come fece il grande regista teatrale Luca Ronconi, che nel 1996 propose uno stupefacente allestimento teatrale. 

Medea, l’eroina della Colchide, che aiutò Giasone e gli Argonauti nella conquista del vello d’oro, abbandonò, poi, il padre, la sua famiglia, la sua terra d’origine, proprio per seguire suo marito, a Corinto. 

Ma, la felicità di sposa e madre, non fu di casa per ‘Medea dallo sguardo di toro‘, perché Giasone decise di ripudiarla, pur di sposare Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto, che all’ambizioso uomo, avrebbe dato il diritto di successione al trono. 

Medea si vede, così, sottratta un suo diritto acquisito, sbattuta fuori da Corinto, esule nel mondo, senza più casa, né patria. Un affronto che la trasformerà in una sanguinaria vendicatrice, pronta ad ordire un perverso e atroce piano, pur di distruggere le felicità altrui, proprio di coloro che le stavano privando della propria. 

Un piano ordito che, attraverso le sue potenti arti magiche, condusse alla morte la giovane Glauce e suo padre Creonte, lasciando lo sventurato Giasone, così ambizioso, così assetato di potere, tanto da sfruttare l’amore come mezzo per raggiungere il suo scopo, attraverso quella sua straordinaria abilità oratoria, capace di ingannare il sentimento femminile e di infiammare i loro cuori, distrutto dal dolore, lacerato nella sua sventura. 

Daniele Salvo, giovane, straordinario ed eclettico regista e attore, che trovò in Luca Ronconi un meraviglioso maestro, e non solo, ripropone, oggi, in teatro, lo storico allestimento della Medea che il grande regista Ronconi, nel 1996, portò in scena, attraverso una lunga tournée che toccherà molteplici tappe, tra le quali Roma, concludendosi, infine, nel marzo prossimo al Piccolo Teatro Strehler, di Milano. 

Un impegno intenso, gravoso e altamente stimolante che non ha spaventato il giovane regista. 

In questo riallestimento di Medea – afferma Daniele Salvo – assolutamente filologico, ho voluto riproporre nei dettagli la regia di Luca Ronconi, senza nessuna intromissione e nessuna aggiunta o sottrazione, ritrovando l’itinerario già percorso da Luca”. 

Nel lavoro quotidiano di Ronconi – ricorda Daniele Salvo – il testo veniva ribaltato, rigirato, consumato, divorato, masticato e rigettato, per poi ritornare alla sua essenza. E Luca non si fermava mai. La sua era una ricerca incessante. Ogni giorno cambiava continuamente  accentazioni, ritmi ed intenzioni. Dal primo giorno di prove sino alla prova generale”.   

Il risultato finale – continua – era il frutto di queste migliaia e migliaia di variazioni quotidiane, una sorta di puzzle, di grande affresco linguistico in cui venivano esperite tutte le possibilità del testo. E il linguaggio diventava poi spazio, macchina testuale visiva. Come in questa straordinaria Medea. Lo spazio veniva re-inventato continuamente e tutto ciò che si vedeva in scena veniva direttamente e assolutamente dal testo e dalle sue radici. Non c’era mai nulla di sovrapposto o di arbitrario”. 

E questa era la straordinaria capacità interpretativa di Luca Ronconi, quella di sviscerare un testo, destrutturarlo, di renderlo vivo e potente, senza limitarsi mai alla sola, semplice, lettura del testo teatrale scritto, ma ridandogli un’anima vera, originale, senza alterare, comunque, le volontà creative di chi scrisse quel testo. Una capacità artistica e registica che Daniele Salvo conosce benissimo, lui che si diplomò, ventiduenne, proprio alla scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, fondata e diretta dal maestro Luca Ronconi, e che, con lui, mosse i primi passi sulle legnose tavole di un palcoscenico, e dietro la regia artistica, come suo assistente. 

La recitazione realistica – ricorda Daniele Salvo – la ‘verità’ o la cosiddetta ‘naturalezza’, veniva considerata come un condizionamento percettivo, un condizionamento culturale in cui il pubblico dei nostri giorni è totalmente immerso, in modo assolutamente convenzionale, per via della televisione, del cinema e dei mezzi di comunicazione di massa. Luca detestava tutto ciò che oggi viene definito ‘performativo’. Lo giudicava arbitrario, datato e scolastico”.  

Parlava spesso di cliché teatrali – prosegue – e di come certa critica italiana fosse affezionata a quei cliché che riportavano la memoria agli esperimenti degli anni ’70, che lui giudicava ampiamente superati. Non erano ammesse interpolazioni, ‘belle idee del regista’, ‘improvvisazioni’, ‘trovate’ o idee dimostrative, tutto veniva dal cuore del testo, dal centro analitico dell’opera. Si trattava di un colloquio segreto e intimo con l’autore. L’autore era il solo, unico, vero regista. Certo poteva anche essere tradito o superato, ma mai ignorato o giudicato inutile: il testo non era mai utilizzato come pretesto. Proprio come in questa versione di Medea”. 

Già, proprio quella Medea, eroina della tragedia di Euripide, che in tanti videro, in una superficiale analisi sociologica, come una sorta di precorritrice del movimento femminista, la donna che si ribella alle angherie, ai soprusi del suo uomo, e alle regole imposte dall’universo maschile, recuperando, così tutta la propria dimensione, riaffermando tutta la sua identità libera. 

Anzitutto [noi donne] dobbiamo versare una robusta dote e prendere un marito che sarà il padrone della nostra persona senza sapere se costui sarà buono o cattivo” si lamentava Medea, affermando che “separarsi dal marito è una disgrazia, ripudiarlo non si può…L’uomo quando si annoia esce con gli amici e si distrae, mentre noi siamo condannate a vedere una sola persona per tutta la vita“, concludendo amaramente, così il suo ragionamento, con la celebre invettiva: “[gli uomini] sostengono che, mentre loro rischiano la vita in guerra, noi donne viviamo sicure in casa. Falso! Preferirei combattere tre volte in prima linea piuttosto che partorire una volta! 

Ma la donna, furibonda, che veste i panni ribelli dell’eroina femminista, è solamente una delle maschere usate dall’astuta Medea, proprio per convincere le donne del coro a sposare il suo perfido e diabolico piano. A trovare in loro un supporto ed una approvazione, una sorta di solidarietà tra donne. 

Medea, innanzitutto, “è una ‘minaccia’, che incombe imminente anche sul pubblico”, scrisse il regista Luca Ronconi, l’esempio della minaccia rappresentata da uno straniero, da un barbaro, come lo era lei, che proveniva dalla Colchide, e che raggiunge una nuova terra, vantando il diritto di avere il primato della civiltà. 

È la rappresentazione dello scontro tra culture diverse, una, quella di Corinto, considerata più civile, l’altra, la Colchide di Medea, invece, più barbara e arretrata. 

E in questo scontro, ad averne la meglio è la forza distruttiva di Medea, anche se, in fin dei conti, tutti finiscono sconfitti, schiacciati dal loro tragico destino.  

Un tema, questo dello scontro culturale, che oggi, tristemente, ci appare quanto mai attuale. 

Questo spettacolo – afferma Daniele Salvo – fu allestito vent’anni fa ma pare davvero che tratti di temi odierni. Nel suo lavoro Luca parlava molto spesso del tempo e della sua percezione relativa e soggettiva. Sognava uno spettacolo infinito, dalla durata infinita e il suo rapporto con il tempo e la finitezza umana era complesso e quotidiano. Diciamo pure che quest’uomo dialogava assiduamente con la quarta dimensione e che la morte, così presente nel suo teatro e nella sua vita, diveniva oggetto di studio e di sfida quotidiana”.   

Il suo pensiero – prosegue – era proiettato in avanti. Era uno scienziato del linguaggio, uno degli ultimi sognatori. E si faceva beffe dei cliché, dei pensieri precostituiti, delle profonde convinzioni assodate e certificate. Preferiva perseguire l’utopia, sfidare il tempo e lo spazio, percorrere sentieri inesplorati. Il teatro non era una semplice passione o un amore. Coincideva esattamente con la sua vita e ne modificava la quotidianità. Luca era un uomo del futuro. Un esploratore dell’ignoto. E ogni giorno ci manca immensamente”. 

E questa visione di Ronconi la ritroviamo intatta e, ancora vibrante d’intensità, anche nell’allestimento, oggi, riproposto da Daniele Salvo. 

Medea, ‘la straniera’, ‘la diversa’, è arrivata via mare – ricorda il regista – ha lasciato la patria, oltrepassato ‘le duplici rocce dello stretto di mare’, si ritrova in terra straniera, ha perso il suo uomo, il suo letto e ora viene cacciata con ignominia dal Paese che l’aveva accolta. Inutile fare facili parallelismi con gli eventi a cui assistiamo ogni giorno nei nostri tempi”. 

Un testo che, fortemente, propone “l’opposizione tra il mondo di Medea, arcaico, violento, eroico, estremo e passionale e il mondo di Corinto, moderno, squallido, grigio e deprimente – afferma Daniele Salvo – un mondo governato dal denaro e dalla convenienza, regno dei più furbi, di chi vanta amicizie più importanti, di chi tradisce, è alla base dell’antitesi Medea/Giasone. Sono due universi che si scontrano, due visioni del mondo completamente diverse: uno scontro clamoroso tra Oriente ed Occidente, tra maschile e femminile, ma anche tra maschile e maschile”. 

Già, perché la Medea che apparirà sul palcoscenico avrà il corpo e la voce dello straordinario attore Franco Branciaroli, virile e potente, vestito con una leggera e femminile camicetta nera da notte, e alte scarpe con tacco; una scelta, questa, che può suscitare stupore e sorpresa nel pubblico, anche se non dovrebbe essere, poi, così.  

In primis, proprio perché già nel teatro classico greco, anche ai tempi di Euripide, solo attori maschili calcavano le scene, interpretando ruoli maschili e femminili, e, poi, perché Medea stessa non è la rappresentazione della grazia e della femminilità, ma incarna sentimenti violenti, distruttivi, vendicativi, tipicamente dell’indole maschile.  

Una scelta artistica che fece già Luca Ronconi, nel 1996, per “tentare una approssimazione all’oggettività della tragedia”, come disse egli stesso, e che Daniele Salvo ripropone, con la stessa intensità, in modo vibrante, con una Medea/uomo sapientemente sopra le righe, emotiva e passionale, sorniona, ironica, astuta, dilaniata nell’animo tra la sete di vendetta e la voglia di desistere dall’eseguire il suo piano tragico, alternando propositi omicidi e pentimenti, mentre ragiona con il coro di donne, nello spazio indefinito in cui vive, una sorta di sottoscala, o forse nel dietro le quinte di un vecchio cinema.  

Franco Branciaroli – afferma Daniele Salvo – in questo lavoro raggiunge vette di elaborazione interpretativa assolutamente incredibili. La sua è una Medea donna/uomo/mostro proteiforme, indecifrabile, ambiguo, misterioso, violento, dolcissimo, clamoroso. Lo stesso lavoro con tutto il nuovo cast è stato davvero appassionante ed entusiasmante”. 

Perché, in fin dei conti, per Medea la femminilità è solamente una delle tante maschere da indossare, per attuare il suo piano diabolico e per commettere tutta una serie mostruosa di delitti; non a caso, lei, che cerca, appunto, la solidarietà delle donne del coro, per la sua condizione sventurata, per prima ucciderà proprio una donna, Glauce, la nuova sposa di Giasone; e pur di punire suo marito, che l’ha ripudiata, non esiterà ad uccidere i suoi stessi figli, facendolo cadere, così, in una profonda, tragica disperazione. 

E, dopo la fatica teatrale di MedeaDaniele Salvo già pensa ai suoi nuovi progetti artistici: “Prossimo progetto imminente – rivela – è la regia di ‘Edith Piaf – l’usignolo non canta più’, con Melania Giglio e Martino Duane, al teatro OFF OFF di Roma, diretto da Silvano Spada. E stiamo lavorando anche ad un tour in Australia di ‘Dionysus – Le Baccanti’ di Euripide”, una tra le più sorprendenti e affascinanti opere teatrali curate dallo stesso Daniele Salvo, che tanto successo ha riscosso già, nei teatri italiani e anche internazionali. 

E in attesa delle sue novità artistiche e teatrali, al suo pubblico non resta che immergersi nella tragedia di Medea, lasciarsi sconvolgere dal dramma umano che divampa tra tutti i protagonisti dell’opera di Euripide, farsi trascinare dall’intenso pathos che emanano gli attori sul palco, e lasciarsi pervadere dall’inquietudine, perché, in fondo, questa tragedia dona solo una ineludibile inquietudine, a tutti noi, spettatori delle tragedie umane.  

 

 

 

 

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