LORO LE CHIAMANO “AFRICHE” Alcune oasi oltre il deserto

Dal 9 febbraio al 2 aprile 2017, la galleria Officine dell’Immagine di Milano ospita la rassegna We call it “Africa”. Artisti dall’Africa Subsahariana, a cura di Slivia Cirelli, dedicata al complesso amalgama di culture, linguaggi e modalità di interazione e di integrazione fra arte e civiltà, accolti in quella che, generalizzando, “noi chiamiamo Africa”.

Protagonista della prima sezione è Maurice Mbikayi (Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, 1974). Laureatosi in Graphic Design (pubblicità e comunicazione visiva) all’Academies des Beaux Arts di Kinshasa (2000), nel 2015, Maurice ha completato i suoi studi presso la Michaelis School of Fine Art di Capetown, e negli ultimi dieci anni l’artista ha preso parte a importanti rassegne collettive nazionali e internazionali, fra cui l’esposizione biennale “Spier Contemporary” (Cape Town, 2010), il “Celeste Price 2011” (Brooklin, New York) e il “Luxembourg Art Prize 2016”. Attivo oggi presso Cape Town, Maurice Mbikayi è membro dell’Africa South Art Initiative (ASAI) e del Visual Arts Network of South Africa (VANSA). Le sue installazioni, realizzate con materiali di recupero, affrontano principalmente il tema dell’impatto del progresso tecnologico sulla società africana contemporanea, denunciando con orrore il problematico diffondersi delle discariche di rifiuti elettronici. In altre opere, tuttavia, egli mostra di non voler rinunciare agli aspetti più leggeri e gioiosi della vita quotidiana del proprio Paese, attribuendo alla raffinatezza frivola ed eccentrica degli usi e dei costumi congolesi un valore etico.

La mostra prosegue con Marcia Kure (Kano, Nigeria, 1970), artista nigeriana che vive e lavora fra Princeton (New Jersey) e Kaduna/Abuja (Nigeria). Laureatasi in pittura presso la University of Nigeria (1994), si è fatta conoscere e apprezzare grazie a disegni e dipinti a tecnica mista, partecipando a varie esposizioni internazionali di rilievo, fra cui la VII “Biennale di Sharjah” (2005), la “Triennale di Parigi” (Palais de Tokyo, 2012) e la “Dak’Art” (Biennale di Dakar, 2014). L’Africa di cui parla Marcia è quella babelica, ibrida, contraddittoria del post-colonialismo, luogo ideale o, forse, non-luogo in cui si incontrano, in maniera non sempre pacifica e armonica, poli opposti, e spesso si scontrano più per annullarsi che per integrarsi a vicenda. Unica costante del suo multiforme linguaggio è il senso di inquietudine che lacera l’identità individuale ancor prima di quella sociale.

L’idea del conflitto e della frammentazione introdotta dal lavoro di Marcia Kure risulta poi confermata e ulteriormente sviluppata, attraverso un linguaggio espressivo non meno eclettico, che unisce scultura, video e installazioni, da Dimitri Fagbohoun (Cotonou, Benin, 1972). Figlio di un beninese e di un’ucraina, attivo oggi fra Parigi, Bruxelles e Cotonou, l’artista si è fatto portavoce di un’Africa ricca di contaminazioni eurasiatiche, dimostrando il proprio talento in molte occasioni, fra cui si ricordano la “Biennale di Bamako” (2007; 2011), il “Pan African Festival” (Algeri, 2009), la “Dak’Art” (Dakar, 2012 e 2016). Nell’opera di Fagbohoun, il corpo spirituale africano poeticamente si manifesta, effimero ed eterno, nelle continue trasformazioni della natura e dell’umanità: la legge e il rito, la storia e il mito, la vita e l’arte.z

Il percorso espositivo si chiude con la giovanissima Bronwyn Katz (Kimberley, Sudafrica, 1993). Laureatasi, nel 2015, alla Michaelis School of Fine Art di Cape Town (città in cui tutt’ora risiede e lavora), ha riscosso un immediato successo in Sudafrica, esponendo presso il Pretoria Art Museum di Arcadia (2014 e 2016) e partecipando alla “Dak’Art” (Dakar, 2016). Nel 2015 ha inoltre vinto sia il “Simon Gershwin Prize” dell’Università di Cape Town, sia il “Merit Prize” al Sasol New Signatures Competition di Pretoria. Nei suoi lavori, è la terra a raccontare la storia e “le storie” sudafricane di un tempo fluido e denso, in cui perdura la minaccia colonialista degli altri Paesi.

 

Giada Sbriccoli

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