UN UOMO, UN VITIGNO, UNA TERRA: LUIGI TECCE E IL SUO AGLIANICO TAURASI DOCG

 

thumbnail_da-sx-satyricon-2010-poliphemo-2008-e-poliphemo-2009Tutto parte da un bicchiere di vino bevuto quasi per caso alla solita enoteca di quartiere in città.Qualche chiacchiera col proprietario, che è anche amico, e si scopre dell’esistenza di questo piccolo, ma grande produttore nel cuore dell’Irpinia, a pochi chilometri da Paternopoli, in provincia di Avellino. Lui è Luigi Tecce, un uomo sulla quarantina, che lavora tutto solo le sue vigne di aglianico ereditate dal padre e dal nonno, che già produceva agli inizi del Novecento. Dunque, una lunga storia di famiglia, di territorio e di vino ad essi indissolubilmente legato. Si scopre, anche, che le bottiglie di Tecce sono quasi introvabili, care quanto basta e delle perle rare da conservare in cantina e da gustare al momento giusto. Si narra che sia un uomo emotivo, molto intelligente, di ottima cultura e un soggetto particolare nel campo enologico tradizionale. Una perla rara anche la sua persona, oltre il prodotto di cui è autore. Come resistere alla voglia di conoscerlo, di trovarsi faccia a faccia, di vedere i luoghi di produzione del suo vino, nonché berne in sua compagnia? Ancora una volta, quasi per caso, dopo una piacevole sosta sulla costiera amalfitana e poi, dritto fino a Salerno, si intraprende la strada del ritorno verso casa, a Roma, con una deviazione a Paternopoli, appunto. Il tempo impervio non ha potuto nulla contro la bramosia di conoscenza, contro la fiducia nella riuscita dell’avventura, contro la certezza, meglio la speranza, di non deludere le aspettative. Attesa e gioia, miste a preoccupazione per le condizioni metereologiche e stradali, hanno accompagnato il tragitto. Finalmente giunti, Tecce è lì, ad accogliere gli ospiti con tutte le migliori intenzioni, con molta umiltà e una buona dose di discorsi, con un sorriso e con la sincerità di chi non ha peli sulla lingua, non ha pudore nel parlare perché sa, perché è insito in lui un forte senso della vita. È con somma esperienza, con educazione e con pacatezza che racconta del suo lavoro, del suo attaccamento a quella terra, della sua famiglia, della sua storia, dell’Irpinia tanto fragile e bella, quanto maltrattata. Si parla di tutto, della sua amicizia con il famoso cantautore Vinicio Capossela, il quale ha disegnato l’etichetta del suo cavallo di battaglia, il “Poliphemo”, delle sue tecniche di produzione, dell’enologia, non senza critiche ed encomi, non senza la voglia e l’obiettivo di crescere, di fare sempre di più e meglio. Una visita densa, senza fretta, gustosa e gustata, trascorsa tra botti, impianti e due pacifici cani in cerca di calore nella cucina alimentata da un vecchio forno a legna. Proprio lì Tecce fa accomodare i suoi ospiti, per continuare ad intrattenerli con i suoi racconti, gli aneddoti, le storie, confusi tra un bicchiere di vino ed una citazione colta. Ama Tolstoj, fa il verso a Oscar Wilde, ragiona sul mondo, sull’uomo, sulla società, si esprime con calma scandendo parole e gesti con disinvoltura, mentre ogni espressione rimanda a un sentimento che è difficile nascondere quando si narra la propria vita: l’infanzia in cantina col nonno e poi col padre, il terremoto, la distruzione e la ricostruzione emotiva più che materiale, i sogni di quanti rispettano una terra naturalmente vocata all’eccellenza, come le sue vigne da cui nascono mosti inebrianti, mai sovratono, mai vanitosamente esposti, ma bevuti con orgoglio e con speranza per il futuro incerto, anche per lui che ormai è sulla bocca dei più accaniti degustatori internazionali, da Londra fino a Tokyo. In questo risiede la sua forza, la positività alimentata dalla razionalità, la sfida che lancia ad un mondo in continua evoluzione, capricciosco e viziato, oggi fedele, domani nemico. E Tecce lo sa, sa bene che il vino è una benedizione dolce ed un amaro destino per chi non è in grado di gestirlo, di coglierne il valore. Amore e cura, ecco cosa esprime il suo vino, ecco cosa si sente al naso, ecco cosa percepisce il palato. Non è stata solo una visita di piacere, non è stato il solito tour in cantina con degustazione annessa; conoscere Tecce è un viaggio sensoriale, è comunicare, è interagire, è esperire, è sentire, nel senso proprio del termine: coinvolgimento puro. Puro come il suo vino, come l’anteprima del nuovo prodotto che verrà commercializzato solo nel 2017, un altro pezzo vincente, un’altra delle sue creazioni, unica e audace: è il “Puro Sangue”, nomen omen.

Quasi indescrivibile, come il suo vino, Tecce è così, anche introvabile: non usa il web, ha una pagina su Facebook voluta da altri e non sa bene dove si vendano le sue bottiglie. Non per menefreghismo, ma perché il suo rapporto è unicamente con la terra, con la vita che ogni anno restituisce a quei vigneti e poi in cantina. Rendere tangibile un’idea, idea di terra e di territorialità, di storia, di radici, di cultura: questa è la sua arte.

 

Piera Feduzi

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