La scatola della disparità: donne e tv in Italia

Quando si parla dei rapporti uomo-donna nella società contemporanea c’è sempre un convitato di pietra, un macigno che siede al tavolo da millenni e che si chiama disparità. L’avvento della modernità ne ha attenuato il peso, soprattutto grazie alla contestazione e ai movimenti di liberazione delle donne. Ma, come raccontano i dati delle ricerche condotte sull’argomento e l’esperienza di noi tutti, la strada da percorrere verso la piena uguaglianza di genere è ancora molto lunga e accidentata. 111111111111111111Sul lavoro, sul mancato ingresso delle donne nel mercato, sulla precarizzazione dell’occupazione e sull’insufficienza delle tutele di welfare già tanto è stato scritto e detto. In Italia l’Osservatorio di Pavia, un’istituzione che da venti anni fa ricerca sociale sui media, fotografa una situazione altrettanto difficile nel campo dei mezzi di comunicazione. In un’intervista rilasciata al mensile Elle, Monia Azzalini, ricercatrice dell’Osservatorio, fa il punto sulla presenza e sulla rappresentazione delle donne nella tv italiana. Qualcosa rispetto al passato è cambiato, però nei nostri Tg la partecipazione femminile si attesta intorno al 24%, mentre negli altri paesi europei è al 29%. Nonostante il fatto che ci sia ormai un cospicuo numero di donne in Parlamento (30%), quando si parla di politica nel piccolo schermo rispuntano le gerarchie di potere più consolidate e tradizionali e a prendere la parola è solo il 13% delle signore. Anche quando si parla di scienza, economia e cultura, le donne è come se non esistessero; dunque accademiche, ricercatrici, giornaliste, faticano a dire la loro su argomenti dei quali sono esperte. Rappresentate invece fino allo sfinimento nell’essere affaccendate in casa, alle prese con minestre da portare in tavola, sorridenti di fronte a bucati ben riusciti e a pavimenti scintillanti, ma anche svestite e seducenti nel promuovere automobili e cellulari, le donne abitano prevalentemente la pubblicità commerciale e i ruoli tradizionali che essa assegna loro. È come un serpente che si morde la coda: la tivù intercetta, rielabora e rinforza gli stereotipi di genere. Ed il problema – come spiega la Azzalini – sta nell’assenza più che nella presenza, in tutto quello che il piccolo schermo non mostra. Fatto salvo il caso di alcune fiction, la nostra tivù racconta poco e male i nuovi ruoli delle donne nella società. La televisione digitale, d’altra parte, sulla quale pure si erano concentrate le speranze di tanti che vedevano nell’ampliamento dell’offerta il dischiudersi di spazi inediti, si è rivelata complice dello stesso meccanismo stereotipante. Agli uomini destina i canali del “fai-da-te”, mentre alle donne quelli dedicati al trucco e agli abiti da sposa. Insomma siamo alle solite. Che fare? La ricetta della Azzalini è intrigante: ricondurre la televisione alla realtà, rivisitando format di successo all’interno dei quali le donne chef, ad esempio, possano mostrare la loro bravura.

 

Pasquale Musella111111111111111111

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