Famiglie come gabbie. Un’insensata violenza di genere

In principio fu il delitto d’onore. Quell’abominevole piega del diritto consentiva agli uomini di uccidere le proprie compagne e i loro amanti, se colti in flagrante adulterio. Una norma grottesca e iniqua, che giustificava la violenza di genere ed era profondamente discriminatoria, perché valida solo per gli individui di sesso maschile ai quali era consentito di eliminare il coniuge che ledeva il suo presunto onore sottintendendo, inoltre, che le donne ne fossero prive. Lungi dal poter trovare una giustificazione  plausibile per una tale ingiustizia, tuttavia la sua esistenza poteva essere spiegata storicamente con il ruolo subalterno che la donna aveva nella società antica e in quella moderna fino al XX secolo e ai movimenti femminili di emancipazione. Tra l’altro, in molte parti del mondo la condizione femminile è ancora paragonabile a quella antica, anzi peggiore, perché in nessuna civiltà del passato la donna veniva segregata o mutilata, le veniva espressamente proibito di lavorare e studiare, si poteva ucciderla impunemente. In questi anni si è assistito ad una preoccupante escalation di violenza nei confronti delle donne, anche nel nostro Paese, che va assumendo sempre di più le caratteristiche di un’epidemia di morte, con una caratteristica che più di altre terrorizza e sconcerta. Ciò che infatti colpisce è l’assenza di una vera motivazione alla base di questi eventi delittuosi che, pur se privi di qualunque scusante, ci si aspetterebbe fossero frutto di gelosia, tradimento o infedeltà. Spesso invece gli uomini che compiono questi gesti inauditi e insensati non hanno un vero motivo per farlo e, a differenza del passato, la violenza è spesso rivolta anche contro i figli. Questi presunti uomini, come una sorta di bambini troppo cresciuti, che si trasformano in orchi rozzi e violenti, sembrano non avere più alcun valore da rispettare, non riconoscere sacra nessuna cosa; si sentono intrappolati in vite che non li soddisfano o che non desiderano più e reagiscono, appunto, come farebbe un ragazzino: distruggendo e offendendo quello che non piace loro. Ne viene fuori un quadro della società, in generale, e della popolazione maschile, in particolare, davvero avvilente. È come se non ci fosse più nulla di sbagliato, come se qualunque gesto fosse giustificato dal proprio desiderio di libertà e autonomia, come se nella vita non ci fossero conseguenze alle proprie azioni. “Non volevo più legami”, “Mi sono innamorato di un’altra donna”, “Non sopportavo più la vita coniugale”, queste le spiegazione date agli inquirenti, quando li interrogano sul movente dei loro delitti. Tutte queste dichiarazioni hanno un elemento in comune: sono alla prima persona singolare, io. Non contano gli altri, le persone che dovrei amare, i loro desideri, i loro bisogni, il loro futuro ma solo quello di cui io ho bisogno. Ci si interroga adesso su quali potrebbero essere i rimedi a questa insostenibile situazione, educazione al rispetto delle donne, seminari, incontri ma innanzitutto bisogna imparare che al mondo non siamo soli, che se non ci sforziamo di aiutarci l’un l’altro, di amarci senza condizioni e di comprenderci, forse non vale la pena di starci al mondo.

 

 Patrizio Pitzalis

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