L’Ucraina dimentica Lenin

ucraina dimentica leninIl 21 gennaio del 1924, esattamente 90 anni fa, moriva Lenin, pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov, il padre della rivoluzione russa dell’ottobre 1917. La sua mummia imbalsamata giace a Mosca, sotto vetro, nel Mausoleo della piazza Rossa e il suo nome persiste nelle tante piazze, vie e scuole che portano ancora il suo nome. Fu Stalin stesso a decidere di imbalsamarlo, contro la volontà della vedova e dello stesso Lenin, che in realtà voleva essere sepolto accanto alla madre, in quella che dopo la sua morte fu chiamata Leningrado. La sua reliquia, almeno in Russia, non ha nulla da temere. Quanto alle ex repubbliche sovietiche, la presenza e il ricordo di Lenin è solo una pagina della storia passata, che in molti hanno voluto dileguare. Il caso più recente è quello dell’Ucraina, dove lo scorso 8 dicembre i manifestanti anti-governativi del partito ultranazionalista hanno fatto crollare la statua del leader comunista, decapitandola in pieno centro a Kiev. Un gesto messo in atto da chi è contrario a mantenere il paese nella sfera d’influenza di Mosca, la cui dipendenza si concretizza nella figura dell’attuale presidente ucraino Viktor Yanukovich, ritenuto una “marionetta di Putin”. In Ucraina si è risvegliato un sentimento di resistenza antisovietico, che risale a quel periodo storico in cui entrò a far parte dell’URSS come Repubblica socialista sovietica ucraina nel 1922. Al principio della Seconda Guerra Mondiale, dopo la firma del patto Molotov-Ribbentrop, i territori dell’Ucraina occidentale e quelli moldavi furono annessi all’Unione Sovietica fino al giugno del 1941, ovvero prima che la Wehrmacht tedesca diede inizio all’operazione Barbarossa. Nel 1944 questi passarono nuovamente sotto il controllo sovietico, sebbene vi fosse un’accanita resistenza da parte dei nazionalisti dell’Esercito insurrezionale ucraino (Upa) di Stepan Bandera, che portarono avanti la guerriglia sino all’inizio degli anni Cinquanta. Nel 1954, il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista sovietico Nikita Chruščëv cedette la Crimea alla Repubblica federativa sovietica di Ucraina, ma solo con il collasso del regime sovietico l’Ucraina dichiarò la sua indipendenza nell’agosto del 1991. Oggi nel Paese ci sono due diverse tendenze contrapposte relativamente alla questione dell’affrancamento dell’influenza di Mosca. Nell’est russofono si guarda ancora alla Federazione Russa quale punto di riferimento. Al contrario, nella zona ucrainofona a ovest del paese, non solo è più vivo il sentimento nazionalista, ma anche quello filoeuropeista, che tende a nascondere la reale russofobia di quanti rifiutano una dipendenza dal paese che per 70 anni li ha oppressi. E’ piuttosto difficile ipotizzare che Putin rinunci al legame politico, sociale ed economico con un paese la cui capitale, Kiev, è stata il centro del primo stato russo. Ci sono poi gli interessi economici, perché l’Ucraina rappresenta comunque uno dei mercati più prossimi. Non ultima la voglia del capo del Cremlino di rimanere, come dire, invitto, giacché il contrario cozzerebbe con la sua granitica figura politica. L’Europa rimane cauta ed evita di sposare impulsivamente l’attuale protesta degli ucraini contro Yanukovich. Appare evidente però che l’anniversario della morte di Lenin capita in un momento politico davvero cruciale per una delle ex repubbliche sovietiche. L’abbattimento di quella statua è una metafora evidente della voglia di una parte degli Ucraini di recuperare il loro passato presovietico, quando la dipendenza da Mosca non era un fatto scontato. Chiaramente tra gli ultranazionalisti e i russofili c’è tutto il resto della popolazione, che scende in piazza al freddo e al gelo per protestare contro una mancata soluzione alla crisi economica, allo stesso modo in cui fanno quelli più estremisti e intransigenti verso il governo. A quasi dieci anni dalla cosiddetta “Rivoluzione arancione”, che scoppiò in Ucraina nel novembre del 2004 all’indomani delle elezioni presidenziali, questo paese, che si trova nel mezzo delle due sfere di influenza, quella europea e quella russa, ancora non trova la sua stabilità. Le proteste sono riprese in maniera massiccia e a breve l’Europa sarà necessariamente chiamata a prendere una posizione nei confronti di uno stato che oggi non vuole rinunciare al suo sentimento indipendentista.

Silvia Di Pasquale

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