La morte di Ariel Sharon

sharon_gettySabato 11 Gennaio è morto  Ariel Sharon. Ex  primo ministro di Israele, aveva 85 anni quando si è spento nell’ospedale di Tel Ha Shomer, vicino a Tel Aviv, dove era ricoverato. Era in coma da otto anni, tuttavia le sue condizioni sono peggiorate nei giorni scorsi, mettendo fine alla sua battaglia per la vita. Nato nel 1928 a Kfar Malal, nel centro nord d’Israele, da una famiglia di ebrei lituani immigrati, si arruolò nell’Esercito dello Stato d’Israele raggiungendo a soli 28 anni il grado di generale. La sua carriera militare iniziò a 14 anni quando si arruolò nell’Haganà, le unità clandestine di un insediamento ebraico della Palestina britannica, che si preparavano allo scontro con la Germania di Hitler. Come scrive Maurizio Molinari, inviato a Gerusalemme per La Stampa: “La sconfitta dell’Asse ad El Alamein scongiura questo scenario ma Sharon resta nelle fila dell’Haganà accumulando battaglie, ferite, decorazioni ed esperienze che lo trasformano nell’eroe più indisciplinato dell’esercito del nuovo Stato”. Vedovo e padre di due figli maschi, la sua vita ha accompagnato le fasi cruciali del tormentato processo di pace tra Israele e Palestina, ancora oggi non giunto a una conclusione definitiva. Una figura controversa quella di Arik, questo il suo soprannome, che senza dubbio è in grado di dividere nettamente il parere di chi vede in lui un “soldato che ha dedicato la vita alla difesa d’Israele”, come afferma lo stesso Molinari e chi invece lo considera un criminale di guerra, come Jibril Raboub, dirigente di al Fatah: «Sharon è stato un criminale, responsabile dell’assassinio di Arafat e noi speravamo che comparisse di fronte alla Corte penale internazionale (Cpi) in qualità di criminale di guerra». Hamas, al potere a Gaza, ha parimenti definito un «momento storico» la «scomparsa di un criminale con le mani ricoperte di sangue palestinese». Oltre alla carriera militare Sharon ha avuto anche un ruolo di spicco in quella politica. Negli anni Settanta divenne deputato del Likud, si dimise però dopo un anno e dal 1975 al 1977 fu consigliere per la sicurezza del premier Yitzhak Rabin, assassinato da un colono israeliano estremista nel 1994. Nel corso della sua vita è stato Ministro della Difesa (è in tale veste che diviene il protagonista dell’operazione militare “Pace in Galilea, che portò all’invasione del sud del Libano), Ministro dell’Industria, del Commercio e del Lavoro, Ministro per gli Insediamenti e delle Costruzioni, Ministro per l’Energia e le Risorse Idriche, Ministro degli Affari Esteri, per arrivare nel marzo del 2001 alla carica di Primo Ministro d’Israele fino all’Aprile del 2006. Una delle pagine più oscure della sua carriera è sicuramente quella legata all’accusa di essere compromesso con l’orrenda mattanza di Sabra e Shatila in Libano, campi profughi nei quali, fra il 16 e il 18 settembre 1982, furono uccisi fra 800 e 3.500 palestinesi per mano delle milizie falangiste cristiano-maronite guidate da Elie Hobeika. Essendo il perimetro esterno sotto il controllo degli israeliani, la Commissione Kahan, insediata a Gerusalemme, giudicò Sharon “indirettamente responsabile” del massacro per aver “ignorato il pericolo di un bagno di sangue e non aver fatto nulla per impedirlo”. La seconda vita politica del “falco” Sharon come Primo Ministro fu l’esito di una campagna elettorale iniziata con un gesto simbolico quanto pericoloso nel settembre del 2000: la passeggiata nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme Est, luogo sacro per i musulmani, provocando la ribellione dei palestinesi che si concretizzò nella Seconda Intifada. La violenza ebbe la meglio sui tentativi di dialogo posti in essere con il vertice di Camp David due mesi prima, un tentativo fallito di stabilire uno “status finale” per il conflitto israelo-palestinese. “Sono qui con un messaggio di pace. Credo che possiamo vivere pacificamente con i palestinesi. Sono qui nel luogo più sacro per il popolo ebraico per avere un’idea della situazione e vedere se è possibile compiere dei passi in avanti”, queste le parole di Sharon mentre si apprestava a compiere quel gesto eclatante nella Montagna del Tempio. Ovviamente molti considerarono la sua  una provocazione, che portò allo scontro con i palestinesi, provocando già il giorno seguente la morte di 7 persone e 160 feriti. Il dialogo si arrestò e la spirale di violenza tornò a mietere vittime. Eppure per gli Israeliani Sharon rimane un soldato che ha dedicato la vita alla difesa del suo paese, cercando una volta premier di cedere territorio ai palestinesi con il ritiro israeliano da Gaza, che nelle intenzioni di Sharon avrebbe dovuto essere un consistente segno di buona volontà israeliana verso la pace, ma che tuttavia provocò dure reazioni dalla destra religiosa. Un anno dopo aver fondato il partito Kadima (che in ebraico significa “avanti!”) nel 2006 venne colpito da una grave emorragia cerebrale, che segnò l’inizio della sua fine. Come prevedibile, la sua morte ha scatenato il web tra accusatori e paladini, tutti pronti a dare il proprio giudizio su un personaggio che fa parlare di sé anche da morto. Stando alle Parole del Primo Ministro Benjamin Netanyahu “la sua memoria sarà consacrata per sempre”. Non la pensano così i suoi oppositori. Quella di Arik è stata una vita contraddittoria, il cui lascito potrebbe non essere raccolto da nessun erede, poiché Sharon rientra a tutti gli effetti  in un tipo di figura politica marcatamente novecentesca.

Silvia Di Pasquale

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