On the road: San Francisco

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Finalmente nella Baia. Tutto attorno è scuro e umido, come se fosse piovuto buio a gocce fitte sulla città. Troviamo l’albergo che avevamo visto su internet prima di partire: unica certezza di pernotto nel viaggio, avevamo previsto solo la sosta a San Francisco e a Las Vegas, nulla di più, il resto l’avevamo lasciato volutamente nelle mani del caso e del Dio delle Strade. Hotel Adelaide, più che altro un ostello pieno di ragazzi come noi in giro per la California, pieno. Ci indirizzano verso un altro albergo, dall’altra parte della strada da cui mandano il loro surplus. Un hotel in piena regola, anche se ricorda molto da vicino quegli alberghi di Tocchiamo letto appena alle sei di pomeriggio, e crolliamo sotto i colpi pesanti inferti dal jet-lag e dal un viaggio in automobile in cui sembrava di dover manovrare una nave sulle onde per la forza con cui il vento trascinava l’auto di lato. La sveglia arriva quasi di soprassalto alle undici di sera, dopo un rapido scambio di sguardi complici, ecidiamo di prolungare il riposo fino al mattino, arrendendoci all’evidenza della fatica. Giusto il tempo di togliersi i vestiti e via, sotto le coperte. Le sette di mattina sembravano essersi nascoste dietro l’angolo, la notte sembrava essere scivolata giù da un piano inclinato portando con sé la stanchezza ed il sonno: ora sette di mattina, una San Francisco dormiente ed inedita in quei giorni di Natale riposava ancora avvolta da una nebbia fitta uscita fuori prepotentemente dalla baia. In strada il paesaggio lascia stupefatti. La foschia ci porta in dono un aspetto della città che porta alla mente certe scene conosciute solo su pellicola. A poco a poco, la vita quotidiana prende possesso delle strade e tutto intorno inizia a brulicare di esseri umani di ogni genere, diretti verso il posto di lavoro, la scuola, o il primo angolo dove accasciarsi in attesa di mani gentili nel concedere qualche spicciolo. Procediamo nel camminare senza una meta specifica, lasciandoci impressionare di volta in volta dall’architettura, dai costumi, dalle bandiere arcobaleno e dalla folta comunità hippie cha ancora vende manufatti colorati nella zona del porto. Raggiunto il molo 39 puntiamo con passo deciso verso la Crab House per provare il famoso granchio. Quello che lascia stupiti è la gentilezza con cui ogni persona incontrata si rivolgeva a noi, dalla più piccola informazione alle indicazioni stradali. E’ curiosa la sensazione che si prova qui. Una sensazione di coinvolgimento, quasi di appartenenza; non c’è la sensazione della distanza né della diversità. Sembra che tutto qui sia a portata di mano si cammina immersi nell’illusione che il “sogno americano” sia davvero alla portata di tutti. Come se avessi la possibilità di realizzare ciò che vuoi, a patto che tu lo voglia davvero. Nonostante ciò si avverte una certa vena di malinconia per le strade, un’impalpabile alone di felicità incompiuta, quasi come fosse stata abbandonata ad un passo dalla sua realizzazione. Come se stesse accadendo qualcosa di inosservato, come se nessuno fosse in grado di notarlo, ma forse nessuno davvero ci fa più caso.

 Giampaolo Giudice

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