Inferno: sogno o realtà?

Inizia a palcoscenico aperto lo spettacolo di Emiliano Pellisari, presentato giovedì otto aprile al teatro Olimpico di Roma. Cardine fondamentale e’ stata la sfida che l’autore ha coraggiosamente lanciato nei confronti della forza di gravità. Estasiato, il pubblico ha accompagnato la rappresentazione con ripetuti applausi. Tanti quante le scene: quindici.

INFERNO, ultimo lavoro di Pellisari – che oltre alla veste di regista teatrale si presenta nelle vesti di scenografo, costumista, coreografo, produttore e illusionista! – propone l’omonima opera Dantesca sotto la forma della danza. Utilizzando figure geometriche come stelle a cinque punte, crocifissi capovolti, e il numero del diavolo 666 ( tre sei: immagine composta da tre ballerini, uno a desta uno a sinistra e un altro centrato in basso) lo spettacolo è stato accompagnato rigorosamente da musica elettronica dark-wave, tecno, tribale e canti arabi. Una voce campionata ha recitato alcuni passi della Divina Commedia.

Ad esempio: IX, 61-63: “O voi ch’avete lì ‘ntelletti sani, /mirate la dottrina che s’asconde/ sotto ‘l velame delli strani”. La scena e’ breve. Mostra l’immagine misteriosa di una donna da nudo busto sospesa in aria a testa in giù! Il resto del corpo è prolungato in un’immensa gonna dorata, e si lascia cadere nel vuoto per raccogliere un ventaglio a terra posato; il tutto componendo coreografie quasi indecifrabili. Quasi: un’attenta osservazione facilmente ne svela i segreti. E la donna, scomparendo magicamente oltre il soffitto, sparisce.

Applausi a scena aperta per lo stile inconfondibile e misterioso di Pellisari, che ha saputo stupire anche gli esperti produttori e scenografi di Hollywood; stile che nasce dagli studi sul teatro ellenistico intrapresi in giovane età e approfonditi poi nel teatro fantastico-sperimentale. La mirabile conoscenza dei macchinari d’arte scenica, propria di antichi saperi, viene dal Pellisari unita abilmente agli apparati elettronici dei nostri giorni. Prende forma così un’opera d’avanguardia dove il rapporto uomo-macchina trasforma lo spazio sensoriale suggerendo nuove tecniche coreografiche, che oggi rappresentano il segno distintivo artistico di un ormai maturo Emiliano Pellissari. Icona distintiva d’una compagnia teatrale che ha saputo stupire – e’ doveroso rammentarlo – un pubblico semplicemente estasiato.

In un gioco di luci fatto di ombre e penombre tutto è molto triste. Oscuro. Nevrotico. Una musica elettronica con scale arabe, armonie minori e ritmi tribali ha seguito la figura dolente di Caronte, il traghettatore delle anime, che e’ l’emblema quasi della rassegnazione. Finché sopraggiunge la quindicesima scena dove appare la stella principale del cielo: la figura simbolica della luce di Dio. Ovvero, sei corpi nudi di uomini e donne che costituiscono la stella vivente; la quale trasformandosi crea molteplici figure. Sospese tra sogno e realtà.

Renato Gattone e Viero Menapace

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